di Daniela Fantechi e Luisa Santacesaria
Il 26, 27 e 28 maggio 2017 è andato in scena al Teatro Farnese di Parma l’opera Prometeo. Tragedia dell’ascolto di Luigi Nono, all’interno della stagione del Teatro Regio. Per l’occasione, abbiamo intervistato Alvise Vidolin, storico collaboratore di Nono e regista del suono di quest’opera con Nicola Bernardini e Luca Richelli, che ci ha portato all’interno della scrittura del Prometeo, parlandoci delle esigenze estetiche del compositore e di come sono state adattate allo spazio del Teatro Farnese.
Per quanta riguarda la diffusione del suono nelle sue opere, possiamo dire che Nono prevedeva una disposizione degli altoparlanti che potesse sempre adattarsi al luogo della performance. A questo proposito, può spiegarci che tipo di spazio è il teatro Farnese e come ne avete sfruttato le caratteristiche in funzione delle esigenze del Prometeo?
Alvise Vidolin: Il Teatro Farnese è uno spazio musicale molto affascinante e soprattutto sembra fatto apposta per la musica di Luigi Nono. Quando immediatamente dopo la sua morte, Martino Traversa organizzò, all’interno del primo Festival Traiettorie del 1991, un concerto dedicato al compositore veneziano, ebbi l’occasione di suonare al Teatro Farnese il Post-prae ludium per Donau, per tuba e live electronics (1987), con Giancarlo Schiaffini alla tuba e restai immediatamente colpito dall’acustica di questo teatro oltre che dal fascino della sua struttura teatrale. Ebbi conferma che fosse uno spazio ideale per la musica di Nono nel 2014 quando curai la regia del suono di Risonanze erranti. Liederzyklus a Massimo Cacciari, per mezzosoprano, flauto, tuba, sei percussionisti e live electronics (testi di Ingeborg Bachmann e Herman Melville) (1986), sempre all’interno del Festival Traiettorie e sotto la direzione di Marco Angius. In alcuni momenti di questo pezzo la voce del contralto deve quasi esplodere al centro della sala per espandersi in tutto lo spazio e progressivamente allontanarsi all’infinito. Questa “esplosione” realizzata nel Teatro Farnese assumeva la forza della presenza e il fascino del lento oblio richiesti proprio dall’autore.
La peculiarità spaziale del Farnese sta proprio in questa caratteristica: un suono nitido, che viaggia indisturbato nella grande sala e che si estingue con una leggera coda, pressoché inudibile, ma che dà l’impressione che questo suono non finisca mai. Facendo l’analisi acustica di questo spazio, attraverso la risposta all’impulso, si evince che il tempo di riverberazione è abbastanza breve, date le grandi dimensioni della sala (85 m x 32 m, 22 m di altezza), di circa 2.8 secondi, ma nella zona di estinzione permane una riverberazione residua appena sotto i 60 dB convenzionali, che sembrerebbe allungare il tempo di riverberazione a 3.5 s. Inoltre lo spettro della riverberazione è molto regolare: scende con una regolarità di 7 dB per ottava dal grave all’acuto.
In questo ambiente così favorevole è stato relativamente semplice progettare la disposizione di musicisti e diffusori elettroacustici seguendo le prescrizioni della partitura. Il punto di partenza fondamentale su cui Nono ha basato tutta la concezione di Prometeo emerge da quanto sosteneva a proposito delle esecuzioni musicali del passato in templi come Notre-Dame di Parigi o la Basilica di San Marco a Venezia: “la musica era eseguita nello spazio in alto”. E pertanto al Farnese i gruppi orchestrali, il coro, le voci recitanti e i solisti sono stati disposti utilizzando innanzitutto i vari livelli d’altezza già disponibili nella struttura teatrale esistente. Così il gruppo orchestrale n. 4 è stato collocato sul palcoscenico antico ad una altezza di 4 m e il gruppo n. 3 nella zona centrale della prima loggia a 8.5 metri di altezza; il coro e le voci soliste sono stati posti in disposizione “battente” ai primi livelli della gradinata lignea ad una altezza di poco più di 2 m, come pure i tre archi solisti, collocati nella zona centrale destra della cavea, con le voci recitanti leggermente a sinistra ma a metà della gradinata, a circa 5 m di altezza. Gli strumenti a fiato solisti si trovavano sul lato destro della prima loggia, mentre i vetri erano suonati da due percussionisti sulla seconda loggia a ben 15 m di altezza. Infine i gruppi orchestrali n. 1 e 2 sono stati collocati su due pedane rispettivamente all’altezza di 2 e 3 m. Analogamente anche i 12 diffusori elettroacustici previsti per la spazializzazione dei suoni sono stati disposti a varie altezze mantenendo la stessa logica delle sorgenti acustiche (cfr. fig. 4).
Marco Angius nel suo discorso introduttivo ha parlato di “tanti Prometei”, intendendo che ogni persona del pubblico avrebbe avuto una diversa percezione dell’opera secondo la posizione in cui era seduta. La nostra percezione è stata quella di piani sonori molto diversi e di un risultato globale frammentario e decostruito. In questo senso, per noi è stata davvero una “tragedia dell’ascolto”: la posizione dei quattro gruppi orchestrali, dei cantanti, dei solisti strumentali e vocali ha comportato di per sé una frammentazione del risultato sonoro. La presenza dell’elettronica sembrava a volte enfatizzare questa distanza e questa fragilità di relazione mentre, altre volte, riusciva a fare da collante e unire sullo stesso piano elementi spazialmente distanti – tuttavia, senza creare mai una situazione acusticamente immersiva. Potrebbe spiegarci se provocare una sensazione simile alla nostra era uno degli obiettivi di Nono e/o della vostra interpretazione?
Come potete vedere nello schizzo preparatorio di Prometeo illustrato in fig. 1, la parola che appare più ricorrente è ROTTO. L’idea quindi di rompere la continuità formale è costitutiva di quest’opera, come d’altra parte aveva già sperimentato in Quando stanno morendo. Diario polacco n. 2, per quattro voci femminili, flauto basso, violoncello e live electronics (1982). In Prometeo il desiderio di rottura appare in tutta la sua evidenza soprattutto nella sezione denominata Isola terza, quarta, quinta. La stesura musicale di ciascuna di queste tre isole (che originariamente erano pensate in sequenza, come appare nella fig. 1) è stata tagliata in frammenti e solo successivamente è stata trasformata in una sezione unica, alternando frammenti di ciascuna di queste tre isole e inserendone talvolta altri tratti dal Prologo, denominati dall’autore Eco lontana (del Prologo). La sequenza finale dei frammenti è la seguente: 4-5-4-3-4-E-5-3-4-5-E-3-4-3-5-E-5-3-5-3-4-E-3-4-5-3-4-3-5-4-3-5-3-E.
In questa sezione anche l’elettronica partecipa ad una ulteriore rottura del tessuto sonoro, svolgendo un duplice ruolo di frammentazione a livello micro-formale, attraverso l’uso dei gate. Il gate è un dispositivo elettronico che realizza un interruttore del segnale audio mediante un segnale di controllo. A titolo di esempio, a battuta 1 dell’Isola terza, quarta, quinta, dove inizia il primo frammento dell’Isola 4 (fig. 2), l’amplificazione del segnale “voce del contralto 1” (diffuso dagli altoparlanti 2 e 6) viene controllato dalla dinamica del trombone. Pertanto se il trombone non suona il contralto 1 non viene amplificato. Al contrario la dinamica del trombone incide, con legge lineare, sulla quantità di amplificazione del contralto 1. Questo vale per il gate n. 1. Analogamente in questa prima sezione dell’Isola 4, nel gate n. 2 la dinamica del flauto (controllo) amplifica la voce del tenore (segnale) sull’altoparlante 1 e, nel gate n. 3, quella del violoncello (controllo) amplifica contemporaneamente sull’altoparlante 7 due segnali: il contralto 1 e il tenore.
In questo modo, Nono ottiene simultaneamente due rotture diverse: una di alternanza timbrica e di presenza fra suono acustico e suono amplificato; l’altra di rottura spaziale. Infatti, il contralto 1 in base alla dinamica del trombone e del violoncello può essere localizzato, quando è solo acustico nella posizione fisica della cantante, oppure nell’altoparlante 2 o 6, in base alla posizione dell’ascoltatore, oppure ancora solo nell’altoparlante 7. Poiché le dinamiche del trombone e del violoncello sono continuamente variate ne risulta una sorta di spazializzazione che sposta la localizzazione del contralto 1 nelle posizioni sopra elencate, con tempi e velocità strettamente correlate alla esecuzione musicale degli interpreti. Va inoltre notato che nel caso specifico del violoncello, in queste prime 7 battute dell’Isola 4, l’esecutore non suona lo strumento bensì soffia direttamente nel microfono ed è pertanto l’intensità del soffio (non udibile nella sua forma acustica) a controllare l’amplificazione del contralto 1. La fig. 3 illustra come Nono abbia notato in partitura tale articolazione dinamica del soffio.
In questa prima elaborazione del primo frammento Isola 4, Nono ha utilizzato tre gate per “rompere” i suoni. Nel corso di tutta l’Isola terza, quarta, quinta Nono varia il numero dei gate da 2 a 4 e variano soprattutto le associazioni fra i segnali e i relativi controlli, dando una continua varietà alle “rotture” che caratterizzano questa sezione.
Questa nuova esecuzione del Prometeo coincide con una nuova edizione della partitura per l’editore Ricordi: che criteri avete usato per fissare le indicazioni relative alla parte elettronica, che erano praticamente assenti nella precedente partitura? Trattandosi di un’opera che si adatta al luogo in cui viene eseguita, quali elementi avete scelto di definire e quali, invece, di lasciare all’interpretazione dei futuri registi del suono?
Innanzitutto va detto che l’esecuzione di Parma è la prima in cui l’elettronica non è stata realizzata dall’Experimentalstudio der Heinrich-Strobel-Stiftung des SWF di Friburgo, dove Nono ha sperimentato e composto il live electronics di Prometeo, e questo è stato possibile proprio grazie a questa nuova edizione della partitura, a cura di Marco Mazzolini e André Richard, che riporta tutte le informazioni necessarie alla realizzazione della parte elettronica e le prassi esecutive per i solisti vocali e strumentali. Ho partecipato solo occasionalmente a questo lavoro di edizione e quindi posso rispondere alla domanda come utilizzatore. Va subito detto che il lavoro editoriale è ottimo e grazie al quale oggi Prometeo può essere eseguito come una qualsiasi altra opera musicale.
La notazione della parte elettronica è divisa in due parti: una prettamente tecnica che consente di progettare e realizzare il sistema elettroacustico di amplificazione-spazializzazione-processing; l’altra, più musicale, che indica come “accordare” e come “suonare” questo sistema elettroacustico nelle varie sezioni. Le soluzioni grafiche adottare sono molto efficaci nel fornire le informazioni tecniche essenziali che variano nel corso della partitura e nel descrivere graficamente le variazioni dei parametri di controllo che gli esecutori al live electronics devono compiere sia in maniera puntuale, sia continua.
Ovviamente la dipendenza di Prometeo dallo spazio fisico/architettonico del luogo di esecuzione è molto forte e le prescrizioni date in partitura non sono volutamente molto rigide. Gli autori hanno definito una sorta di modello che potremmo chiamare “Prometeo ideale” che nasce dalle esperienze esecutive fatte con Nono alla regia del suono in varie esecuzioni [Venezia (1984), Milano (1985), Francoforte e Parigi (1987), Berlino (1988)] tenendo conto anche delle molte altre recite che tale opera ha avuto anche dopo la morte dell’autore.
Non dobbiamo dimenticare che il parametro spazio è un parametro fondamentale del Prometeo e che Nono chiese a Renzo Piano di progettare e realizzare una struttura mobile che fosse in grado di far ascoltare questa musica nel modo appropriato. A Venezia il risultato fu ottimo, ma già a Milano sorsero i primi problemi, sia per la trasportabilità della struttura sia per la necessità di adattarla alle dimensioni dello Stabilimento Ansaldo che doveva contenerla, troppo basso nelle zone laterali e costringendo un’orchestra ad essere collocata fuori dalla struttura stessa. Successivamente la Struttura di Piano non fu più utilizzata, ma si cercò di scegliere sale che consentissero di ricreare la disposizione di musicisti ed elettronica analoga a quella progettata da Nono per la Struttura, eventualmente aggiungendo supporti temporanei.
Nella nuova edizione musicale a stampa viene proposta la disposizione ritenuta ottimale, prendendo come base lo spazio tipico di una sala da concerti e dando indicazioni per l’organizzazione dello spazio sia sul piano orizzontale che verticale. Ovviamente ogni sala presenta elementi che favoriscono il raggiungimento dell’obiettivo ed altri che si oppongono, come pure non sono trascurabili i vincoli economici fissati dalla produzione ed i vincoli della sicurezza che soprattutto per le strutture temporanee aggiunte sono molto severi e condizionanti. Pertanto ogni produzione deve in parte reinventare Prometeo cercando di ottenere il risultato voluto con mezzi e soluzioni ogni volta diversi. È questo il compito che si devono assumere il direttore musicale e la regia del suono di concerto con l’Istituzione che produce la nuova esecuzione dell’opera.
A titolo di esempio, nella produzione al Teatro Farnese di Parma (fig. 4) siamo stati costretti a ruotare di 90° la disposizione del coro e dei 4 gruppi orchestrali rispetto al modello di riferimento dato in partitura. In tale modello il coro, l’orchestra 1 e il direttore principale sarebbero dovuti stare sul palcoscenico antico del Teatro, ma la necessità di raggiungere 630 posti a sedere a recita, ha costretto la Produzione a mettere parte del pubblico sul palcoscenico stesso, riducendo abbondantemente lo spazio utile per i musicisti. A mio avviso questa rotazione ha portato indubbi vantaggi, come quello di avere i soli vocali ed il coro “battenti” e più centrali rispetto alla disposizione del pubblico, lasciando alle orchestre 3 e 4 il ruolo di privilegiare la traiettoria longitudinale dei suoni con una campata di circa 80 metri. Tutte le distanze sono state quasi raddoppiate se prendiamo come riferimento la Struttura di Piano, collocata all’interno della Chiesa di San Lorenzo, nella sua versione originaria di Venezia del 1984 (30 m X 25 m, altezza 12 m, circa).
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