di Giulia Sarno e Luisa Santacesaria
[Il 9 ottobre, Tempo Reale presenta alla Biennale Musica di Venezia la sua nuova produzione Symphony Device. Abbiamo chiesto ai compositori Francesco Canavese, Francesco Casciaro, Francesco Giomi e Damiano Meacci di parlarci dell’ideazione, del processo compositivo, e del funzionamento tecnico di questo Teatro sonoro per dispositivi. Vi proponiamo dunque questa edizione speciale della nostra rubrica Gear Exposed, che vuole essere anche una guida all’ascolto per quest’opera inedita. Per facilitarne la fruizione, abbiamo realizzato un breve video che mostra alcuni dei dispositivi all’opera.]
FRANCESCO GIOMI Symphony Device è progetto prodotto da Biennale di Venezia e Tempo Reale che vuole investigare il concetto di dispositivo, un concetto che è prepotentemente entrato nella nostra vita di tutti i giorni, e che anche nella musica fa parte ormai da cinquant’anni del percorso di ogni operatore, di ogni musicista. Dispositivo appunto come oggetto tecnologico, con tutti i suoi concetti di obsolescenza, di problematica legata all’ecologia di questi dispositivi, al loro riutilizzo, al loro riciclaggio. Ma anche dispositivo come insieme di oggetti che costruiscono delle relazioni tra loro, che hanno delle regole, che insieme contribuiscono a realizzare un dispositivo più ampio, per esempio quello di una sinfonia, a sua volta con delle regole, con delle relazioni nel tempo, nello spazio e nel materiale. Quindi un concetto molto ampio, che riprende quelli di Foucault, di Agamben e di grandi filosofi che lo hanno investigato, ma che in fin dei conti vuole diventare un concetto per fare della musica, una partitura musicale che è stata scritta e costruita per una serie di dispositivi, dispositivi tecnologici vecchi della vita di tutti i giorni, che ci piace riutilizzare in senso musicale, far rivivere come nuovi strumenti musicali. Per quanto riguarda la forma dell’opera, Symphony Device è appunto una sinfonia, con tutto quello che questo comporta, quindi i riferimenti alla tradizione, a un’idea ormai consolidata di forma musicale – la forma sonata – e quindi con delle relazioni formali tra varie sezioni del pezzo. Ma intende essere anche volutamente, e forse anche polemicamente, un ritorno alla musica, dopo che nel campo delle tecnologie musicali e della sound art si è forse perso di vista questa prospettiva fondamentale, e si è andati verso esperienze formali molto distanti dalla musica stessa. Quindi un ritorno all’insegna dell’innovazione, un ricostruire un universo musicale con le sue regole.
Symphony Device è un lavoro d’equipe, un lavoro collettivo: credo molto in questa modalità di lavoro, quattro persone che hanno dato contribuiti anche parzialmente diversi ma tutti altrettanto importanti alla costruzione di questa sinfonia.
Come ha funzionato il processo di selezione dei materiali, degli oggetti da trasformare in strumenti musicali? E il processo compositivo come è andato avanti?
F.G. Abbiamo lavorato insieme sulla scelta dei materiali: sono arrivate molte proposte in sede di brainstorming, poi ne abbiamo fatto una selezione anche perché un po’ questi oggetti resistono a funzionare da strumenti musicali, e quindi ne abbiamo privilegiati alcuni – stampanti, scanner, frullatori, televisori, che sono un po’ gli strumenti solisti per così dire, e che quindi esprimono all’interno dell’opera un’idea più articolata di materiale, di relazioni e così via. E poi c’è un’altra serie, altrettanto interessante, sempre della vita quotidiana, o delle tecnologie povere degli anni passati.
FRANCESCO CANAVESE Abbiamo scelto innanzitutto oggetti che potessero ispirarci, visivamente e sonoramente, quindi abbiamo fatto una lista. La prima lista naturalmente riguardava anche il reperimento di questo materiale, poi ogni singolo strumento veniva provato nelle sue possibilità, sperimentando. Da lì abbiamo ricavato una tavolozza di suoni con cui comporre: usare quegli strumenti in modo tradizionale – ad esempio, scrivere una partitura melodica da far eseguire allo scanner – non funziona. Ha funzionato molto meglio partire, suonare, registrare e poi tagliuzzare le improvvisazioni. Proprio perché questi strumenti hanno una loro vita, un loro mondo. Si trovano in rete moltissimi video di stampanti che suonano delle melodie, però il risultato è poco significativo. Partire da un approccio compositivo-musicale tradizionale non funziona, invece è necessario sperimentare, mettersi lì a esplorare le possibilità degli oggetti, i suoni che producono secondo le loro caratteristiche. Una volta fatta questa ricognizione, nella struttura formale abbiamo cominciato a pensare alle singole sezioni, ragionando su cosa ogni parte avrebbe dovuto comunicare. In questa struttura avevamo già fissato quali fossero i solisti delle varie sezioni, ma di nuovo, era solo un’idea iniziale, non potevamo ancora sapere con certezza, prima della fase di sperimentazione, se uno strumento avrebbe funzionato bene da solista o no. Ci sono strumenti più poveri e strumenti molto più ricchi. Le linee principali sono state poi arricchite con l’orchestrazione, con una logica costruttiva che richiama l’approccio classico.
Passiamo ora alla parte tecnica. Come funzionano questi oggetti, come si muovono?
FRANCESCO CASCIARO In realtà funzionano con i loro meccanismi di movimento, per come sono nati. Una cosa che si è decisa fin dall’inizio è stata di non alterare la natura degli strumenti stessi aggiungendo meccanismi che loro non avevano. Per comandarli, abbiamo deciso di utilizzare uno dei più vecchi protocolli di comunicazione che è il MIDI, quindi tutti gli strumenti sono stati “midizzati” in modo da poter lavorare su una timeline, una partitura reale, e quindi costruire la struttura del brano utilizzando note e controlli MIDI su una sessione di montaggio. Abbiamo utilizzato dei micro-controllori Arduino che offrono un accesso immediato a una serie di dispositivi elettronici.
Tutti gli strumenti, una volta implementato il protocollo di comunicazione, devono interpretare questi dati e tradurli a seconda del caso in movimento: gli scanner, ad esempio, traducono questi messaggi in variazione di velocità del motore della lampada e in impulsi della lampada stessa, quindi di accensione e spegnimento, e la stessa cosa avviene nei floppy, il pitch determina la velocità del motore. Si tratta di un fenomeno fisico in tutto e per tutto: se un motore gira più veloce, la nota prodotta sarà più acuta, quindi c’è una relazione diretta tra questi parametri. Noi non siamo intervenuti a modificare questa relazione, che rimane lineare.
I suoni dunque sono quelli effettivamente prodotti dal movimento elettromeccanico degli oggetti.
F.C. Esatto: ogni dispositivo è stato poi a seconda dei casi microfonato in maniera diversa, ogni strumento ha la sua tipologia di microfono e modalità di microfonazione in modo tale da tirar fuori il suono più interessante possibile.
DAMIANO MEACCI Gli hard disk invece funzionano in modo un po’ diverso, perché vengono modulati direttamente attraverso un segnale audio. Quindi il segnale audio che, con l’appropriato voltaggio, fa muovere la testina e il meccanismo interno all’hard disk.
F.C. Vengono usati come veri e propri altoparlanti, molto lo-fi. Sono stati prodotti dei materiali audio appositamente per loro che vengono mandati agli hard disk che sono in grado di emetterlo: questa emissione crea anche il movimento della testina che produce una sonorità ancora più sporca, più rumorosa dovuta proprio al movimento meccanico.
Strumenti come la levigatrice invece?
F.C. C’è una categoria di strumenti che vengono modulati con la tensione da 220 volt: l’aspirapolvere (o meglio soffiatore, perché è in questo senso che lo utilizziamo), la levigatrice e i quattro frullatori, che fanno parte dello stesso sistema elettronico/elettrico, che riceve messaggi MIDI, li interpreta e controlla sostanzialmente dei dimmer che modulano i 220 volt della corrente alternata della presa, variando così la velocità di rotazione di quei motori.
I televisori invece, essendo dispositivi che nascono per poter riprodurre materiale audiovisivo, vengono utilizzati proprio per riprodurre segnali dell’uno e dell’altro tipo. Dovendo gestire più televisori, abbiamo creato una matrice video che riceve dei comandi MIDI dalla stessa sessione e ci permette di decidere di volta in volta quale tipo di video mandare su uno specifico televisore, dunque anche questo è in partitura.
Le trombe sono considerate alla stregua di un altro dispositivo: mandiamo loro dei materiali più di bassa qualità che richiamano per tipologia di materiale l’utilizzo di una tromba di quel tipo. Aggiungono quindi una caratteristica timbrica, diventando in questo modo un altro strumento.
I frullatori che abbiamo scelto sono quelli più semplici che si possano trovare, la maggior parte dei frullatori che si trovano oggi in commercio sono elettronici, mentre questi sono obsoleti, hanno una velocità o al massimo due: noi abbiamo bypassato questo sistema e ne abbiamo implementato uno nostro, per avere un range di possibilità sonore più ampio. In particolare è interessante vedere come cambi tanto la resa sonora quando il voltaggio è veramente basso, allora la modulazione della corrente stessa entra a far parte del suono stesso del frullatore, cosa impossibile da fare con le velocità pre-impostate. Così noi li portiamo da zero, dal non movimento, al massimo possibile per loro. Un’altra cosa interessante che deriva da questa manipolazione delle velocità è sentire l’errore: quando si prova a far girare questi dispositivi a velocità cui non sono abituati, il motore perde colpi, volgarmente “scarrella”, e dunque si inserisce questa componente di rumore che rende il suono vivo.
Quindi questo iper-dispositivo che è Symphony Device è in pratica formato da elementi componibili: il sistema può essere destrutturato e riassemblato per fare un brano completamente diverso.
F.C. Esatto, abbiamo puntato a creare un sistema che potenzialmente possa essere utilizzato da chiunque, con un minimo di istruzioni, per creare una partitura ex novo di qualsiasi tipo. La logica è proprio quella di rendere il più possibile flessibile questo strumento senza però alternare quelle che sono le sue caratteristiche fisiche, elettriche. L’idea è che sia ogni strumento ad emettere il suo proprio suono, ottenendo allo stesso tempo la maggiore flessibilità possibile nella gestione. Ogni strumento ha un range di possibilità limitato in cui lavora meglio, come uno strumento tradizionale: dunque conoscendo le caratteristiche di ogni dispositivo si possono scrivere le note adatte, sapendo che lui le eseguirà in un certo modo.
D.M. Proprio come un’orchestra, ogni strumento ha la sua estensione, le sue caratteristiche timbriche, dunque lo sfrutti in quel modo lì. Certo, rispetto agli strumenti tradizionali questi dispositivi hanno limiti ulteriori, quello ad esempio di non essere così flessibili. Qualcuno di questi strumenti riesce a fare suoni tenuti, tessiture, altri invece non sono in grado di fare questo mentre invece sono capaci di fare giochi più puntuali, su altezze e via discorrendo. Un’altra parziale criticità dipende dal fatto che trattandosi di strumenti non convenzionali, l’ascoltatore può avere problemi non solo a riconoscere di che dispositivi si tratta, ma anche a identificare da dove proviene il suono, qual è il dispositivo che genera quel determinato suono. Di per sé questo non è necessariamente un grosso problema, ma trattandosi di uno spettacolo dare un’idea della provenienza dei suoni può essere interessante. Allora abbiamo adottato delle soluzioni: gli hard disk si potranno riconoscere per una loro dislocazione diversa nello spazio, mentre per i floppy è stato trovato questo escamotage estetico [le fascette, ndr] che amplifica a livello visivo il movimento del dispositivo.
F.C. In più si è deciso di utilizzarne un blocco da quattro; il dispositivo floppy sarebbe un’unità singola, ma noi abbiamo deciso di crearne un blocco da quattro che rappresenta un unico strumento polifonico, a quattro voci (così come polifonica è anche la testina della stampante: i singoli aghi possono essere intonati singolarmente in maniera polifonica). Con lo stesso intento di mostrare il movimento dei dispositivi, abbiamo aggiunto la luce sulla stampante: che suonino gli aghi o il motore della carta – che sono due meccanismi indipendenti dello stesso device – la luce si accende, quindi lo spettatore sa che in quel momento quel dispositivo sta suonando.
img: © Mario Carovani e Stefano Poggioni
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