Rahsaan Roland Kirk e le forme del silenzio

di Johann Merrich*

“Perché per le persone è così difficile ascoltare?” 

La – sempre attuale – domanda fa parte di uno dei tanti quesiti sul suono, sul silenzio e sull’ascolto che John Cage rivolge al suo immaginario interlocutore durante i 24 minuti in bianco e nero di Sound??Realizzato nel 1966 da Dick Fontaine, il breve film vede come co-protagonista Rahsaan Roland Kirk (1935-1977), polistrumentista ipovedente, celebre per l’uso simultaneo di molteplici strumenti e per l’introduzione di una varietà di bizzarri oggetti dal potenziale sonoro nelle sue improvvisazioni jazz. 

In questa perla della narrazione visiva sperimentale, Cage e Kirk non si incontrano mai; per quanto separati dalla pellicola e dalla geografia, le loro immagini in movimento, i loro pensieri e i loro suoni concorrono a esplorare e rinnovare simultaneamente uno stesso concetto, con il medesimo piglio: un’attitudine lucidissima, in bilico tra l’ironia, la meraviglia, il disincanto e il velato fastidio che è proprio di chi è consapevole di star guardando – o ascoltando? – più avanti degli altri. Sound?? propone due menti titaniche a confronto e una perfetta giustapposizione, presentando la prossimità e la distanza tra Cage e Kirk. Dall’uso di strumenti preparati alla notazione del rumore passando attraverso il valore del jazz nell’evoluzione della musica contemporanea, i fili capaci di creare trame e orditi intrecciando le poetiche dei due musicisti sono così tanti che sarebbe assai difficile prenderli tutti in rassegna [1]. 

È un vero peccato che Sound?? non sia impiegato di frequente come strumento divulgativo: illustra alla perfezione alcuni degli aspetti più celebri della poetica cageana – e, più in generale, della sperimentazione – attraverso la viva voce del suo autore, raccontando e rafforzando il punto di vista di un altro grande protagonista della sperimentazione (ambiente dalla drammatica rappresentazione a maggioranza bianca). Sound?? è poi un’eccezionale testimonianza di esotiche pratiche dal vivo e delle attività di costruzione di oggetti sonori: la visione di Kirk all’opera restituisce piccoli frammenti che testimoniano anche visivamente (e non più solo su supporto fonografico) il suo interesse per il mondo della tecnologia elettronica e per l’universo di possibilità offerte dal nastro magnetico.

L’anno prima della realizzazione di Sound??Kirk aveva impiegato le tecniche della manipolazione del nastro magnetico e i modi della musica concreta nel suo album Rip Rig Panic (1965)

“Rip significa Rip Van Winkle [o Riposa in Pace?]. È il modo in cui sono le persone, anche i musicisti. Sono addormentati. Rig significa rigor mortis. È lo stato in cui si trova la mente di molte persone. Quando mi ascoltano non pensano che potrei gettare le loro menti nel panico” [2].

Secondo la musicologa Ingrid Monson, la dichiarazione di Kirk renderebbe manifesto il senso di panico che insorge nelle persone quando sentono di non appartenere alle categorie che gli sono state assegnate dalle convenzioni sociali. Attraverso l’uso dell’ironia, Kirk si fa gioco della tradizione classica Occidentale; più oltre, nei testi di servizio del disco, Kirk citerebbe esplicitamente Varèse con una duplice finalità: dimostrare a sua volta di poter fare musica con qualsiasi sorgente, anche attraverso la tecnica della manipolazione del nastro magnetico, e ribadire al contempo la sua conoscenza di una musica diversa dal jazz e da quella della tradizione Afro Americana. Varèse non è oggetto di scherno, ma di profonda solidarietà: compositore emarginato, vive lo stesso moto discriminatorio riservato dalla classe dominante ai fratelli afroamericani.

Storico produttore di Kirk, Joel Dorn dà un’altra interpretazione dei fatti: Kirk non era solito riconoscere nella sua musica influenze che giungessero al di fuori della American Black Experience: se interrogato circa l’opera di Varèse, si limitava a dire che lo aveva ascoltato, premurandosi di cambiare rapidamente argomento di conversazione. Questo atteggiamento si allineava con il volontario distacco espresso dagli esponenti della Black Art dai precedenti europei e da quanti proclamavano l’interdipendenza delle culture nere e bianche statunitensi [3].

Altre due interessanti riflessioni potrebbero poi essere fatte su due ulteriori nodi poetici comuni a Cage e Kirk: il silenzio e il potere delle vibrazioni.

Tra le molteplici sfumature di significato, il silenzio per Kirk diviene metafora di segregazione, contrapponendosi al rumore che una cultura deve fare per essere inclusa nelle narrazioni della storia; le attività del Jazz and People’s Movement rincalzano l’assunto: il movimento si dedicava a fermare la cancellazione della genialità creativa dei neri non solo dai media contemporanei, ma dalla storia e dalle memorie collettive per far tornare di nuovo visibile (e udibile) quel che era praticamente invisibile (ossia in silenzio).

Se per Cage la vibrazione manifestava lo spirito racchiuso in ogni oggetto, che proprio in virtù delle oscillazioni può essere liberato nel mondo, per Kirk la vibrazione assumeva forme più etiche e rivoluzionarie: nel 1970, dopo aver fondato il Jazz and People’s Movement, iniziò a definire la sua band e il suo pubblico – una comunità interrazziale di spiriti imparentati – con il binomio Vibration Society. Convinto del potere trasformativo e trascendente delle vibrazioni, Kirk dichiarò con sguardo globale: “La nostra musica è la vibrazione che tiene assieme la società” [5]. Musica e suono sono critiche dell’identificazione razziale e strumenti per la lotta. Come afferma Josh Kun: “Quando Kirk parlava di blackness e di diritti civili lo faceva usando vocaboli derivati dal mondo del suono e faceva i suoi commenti sulla società attraverso il linguaggio musicale. La strada verso il cambiamento sociale correva attraverso la musica” [6].

NOTE

[1]. David Brown compie una densa e dettagliata analisi dei contrasti e delle affinità tra Cage e Kirk nel capitolo “What is the body supposed to be doing? John Cage and Rahsaan Roland Kirk”  in Noise Orders: Jazz, Improvisation, and Architecture, University of Minnesota Press,  Minneapolis, London 2006, pp. 33-60.

[2]. Rahsaan Roland Kirk in Ingrid Monson, Saying Something: Jazz Improvisation and Interaction, The University of Chicago Press, Chicago & London, 1996, pp. 120-123.

[3]. Benjamin Tress, “The Jazz & People’s Movement: THE Rahsaan Roland Kirk’s Struggle to Open the American Media To Black Classical Music”, Boston College Electronic Thesis or Dissertation, 2008, pp. 32-33. DOI, http://hdl.handle.net/2345/593 

[4]. John Cage, An Autobiographical Statement, 1990, in https://johncage.org/autobiographical_statement.html

[5].  Michael Stewart Foley, “Black creative genius matters: Rahsaan RolandKirk, the Jazz and People’s Movement, and the politics of ‘black classical music’”, in The Sixties, p. 16, DOI: 10.1080/17541328.2020.1785174

[6] B. Tress, “The Jazz & People’s Movement, op. cit., p. 28.

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img © Eeviac

Organizzatrice di suoni, Johann Merrich si occupa di ricerca e sperimentazione elettronica. I suoi progetti in solo ed ensemble – presentati a Santarcangelo Festival (2018) e alla Biennale D’Arte di Venezia (Padiglione Francia, 2017) – sono stati accolti come opening da artisti quali Zu, Teho Teardo, Mouse on Mars, Roedelius ed Evan Parker. Direttore artistico della netlabel electronicgirls, dal 2018  fa parte assieme a eeviac de L’Impero della Luce, duo dedicato alle sonorità dei campi elettromagnetici. Nel 2019 ha pubblicato per Arcana Edizioni il libro “Breve storia della musica elettronica e delle sue protagoniste”. A partire dal mese di maggio 2019, propone per musicaelettronica.it una nuova visione della storia della musica elettronica.

http://johannmerrichmusic.wordpress.com/ | https://soundcloud.com/johann-merrich

Rahsaan Roland Kirk e le forme del silenzio ultima modifica: 2021-09-26T18:20:53+02:00 da Luisa Santacesaria

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