di Giovanni Mori
[In occasione del centenario dalla nascita di Pietro Grossi, musicaelettronica.it propone una serie di contributi dedicati al pioniere della computer music in Italia.]
Nello scorso articolo abbiamo parlato della fase iniziale della carriera da musicista e sperimentatore di Pietro Grossi. Durante questo periodo, nominato “Pre-Bit”, il musicista si formò e mise a punto l’apparato teorico che sviluppò poi a pieno nella fase successiva, con l’uso del calcolatore, definita quindi con il termine “Post-bit”.
Uno dei primi contatti con il computer, a detta di Grossi stesso, fu nei primi anni ‘60 del ‘900, quando venne a sapere da un articolo di giornale che i computer potevano “suonare”. Con “suonare”, l’articolista intendeva dire che i computer emettevano frequenze elettromagnetiche che potevano essere ascoltate per mezzo di radio portatili. Infatti, i calcolatori e i loro apparati di calcolo, al tempo lavoravano con frequenze nell’ordine dei khz e, a causa della molta corrente che passava all’interno dei loro circuiti, emettevano onde elettromagnetiche di discreta entità, quindi captabili per mezzo di apparecchi anche piuttosto semplici. Grossi, incuriosito da questa possibilità, si recò presso il centro di calcolo della Banca Toscana a Firenze dotato di una radiolina a mano e riuscì così ad ascoltare le frequenze elettromagnetiche emesse dal computer mentre era in funzione, diciamo il suo “canto di lavoro”.
Tuttavia, soltanto nel 1962 Grossi ebbe la possibilità di approfondire la conoscenza della computer music. Infatti fu incaricato dalla RAI di condurre una serie di puntate radiofoniche sulla musica sperimentale di allora, in duo con il compositore Domenico Guaccero. All’interno della trasmissione, Grossi fece propose numerose opere innovative e sperimentali. Una delle composizioni più interessanti che trasmise, divenuta poi una pietra miliare della composizione automatica, fu la ILLIAC Suite del 1956. Questa composizione fu “scritta” automaticamente dal calcolatore ILLIAC appunto, installato presso l’Università dell’Illinois e “istruito” dai compositori Lejaren Hiller e Leonard Isaacson. I due utilizzarono un programma da loro ideato e realizzato che, a seguito dell’inserimento di alcuni parametri preliminari, consentiva di ottenere come risultato una partitura da far eseguire a un ensemble di musicisti grazie all’utilizzo di algoritmi e procedimenti stocastici per la scelta dei vari parametri. In questo caso il computer produsse una composizione per quartetto d’archi in quattro movimenti, della durata di circa venti minuti.
Successivamente a questa sua esperienza radiofonica, Grossi decise di trovare il modo di “mettere le mani” in prima persona su un computer e cercare di capirne le potenzialità musicali. Dopo una breve ricerca, fu messo in contatto con i vertici della Olivetti-General Electric, che decisero di ospitarlo presso il loro centro di sviluppo e ricerca che si trovava allora a Pregnana Milanese, alle porte del capoluogo lombardo. Qui Grossi ebbe a disposizione, oltre al tempo macchina, ovvero alla possibilità di utilizzare le risorse di calcolo dell’Elea9003 del centro, anche un tecnico informatico specializzato, Ferruccio Zulian. Quest’ultimo si occupò di scrivere i programmi necessari al maestro per le sue esigenze, visto che allora Grossi non era ancora capace di programmare, e di mettere a punto le soluzioni tecniche, allora ancora tutte da inventare.
Sin da subito, Grossi interpretò il computer come un vero e proprio strumento musicale, o meglio un esecutore. Egli, almeno in questa fase iniziale, non cercava la perfezione del timbro sonoro e non voleva attendere a lungo per l’ottenimento del risultato musicale. Grossi desiderava che il computer restituisse un risultato non appena i dati venivano inseriti in memoria e il programma veniva lanciato. Per fare ciò quindi c’era bisogno che il computer non impiegasse tutte le (poche) risorse di calcolo disponibili per la sintesi sonora. L’ingegnere Zulian trovò uno stratagemma che consentiva a Grossi di ottenere un risultato udibile nel giro di brevissimo tempo: l’onda sonora era generata da un bit di controllo che veniva comandato direttamente dal computer. La frequenza delle oscillazioni di questo bit riproduceva un’onda quadra che, successivamente alla sua registrazione su nastro magnetico, poteva essere ascoltata dal musicista. Il risultato ottenuto era, a dire dello stesso Grossi, il “suono più brutto del secolo”, ma questo stratagemma gli consentiva di ottenere un risultato sonoro in brevissimo tempo e questo era ciò a cui era più interessato. Come emergerà più volte durante questo ciclo di articoli, Grossi era più interessato al processo, al modo di raggiungere un obiettivo, che al suo aspetto estetico. Quindi anche il timbro di onda quadra era accettabile, in quanto gli consentiva di portare avanti il suo processo di sperimentazione.
In questa fase di approccio alla computer music, Grossi si dedicò soprattutto alle trascrizioni di brani della tradizione colta occidentale: Bach, Paganini, Handel e così via. La Olivetti pensò di sfruttare a fini pubblicitari l’attività di Grossi, incidendo un disco a 45 giri contenente alcune delle trascrizioni effettuate dal maestro più un brano originale, Mixed Paganini. In questo brano, Grossi aveva impostato l’esecuzione del Capriccio n. 5 di Paganini secondo diverse modalità: velocizzata, rallentata, in maniera retrograda e inversa. Le varie riproduzioni erano poi state sovrapposte e mescolate. Il vinile fu donato dall’azienda ai suoi clienti come regalo natalizio. Molti dei destinatari non gradirono l’ascolto del risultato delle elaborazioni grossiane e scrissero alla direzione aziendale che non era ammissibile una simile corruzione della musica causata dall’impiego del computer. La storia, come sappiamo, ha dato loro torto.
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