di Marco Baldini
In occasione dell’undicesima edizione del Tempo Reale Festival, mercoledì 30 maggio 2018 alla Limonaia di Villa Strozzi – in coproduzione con Fabbrica Europa – si esibiranno il chitarrista, turntablist e compositore giapponese Otomo Yoshihide insieme al sassofono di Chris Pitsiokos. In questo post, proponiamo un breve ritratto della vita artistica di Otomo Yoshihide.
A partire dagli anni Novanta la produzione musicale di Otomo Yoshihide ha profondamente segnato il corso della musica di ricerca non accademica. Muovendosi con rara maestria fra il noise rock, il free jazz, l’improvvisazione radicale e il riduzionismo, e molto spesso anticipando le tendenze poi risultate preponderanti nella sperimentazione musicale, Otomo è diventato una figura di riferimento imprescindibile per la scena internazionale.
Cresciuto nel distretto di Fukushima, Otomo fa le sue prime stranianti esperienze musicali grazie al padre ingegnere da cui impara a costruire dispositivi radio e oscillatori. Durante gli anni del liceo inizia a suonare la chitarra in una band con la quale si cimenta in standard jazz e classici rock; ascoltando Ornette Coleman e Eric Dolphy (a cui nel 2005 tributerà un intenso omaggio con il remake del fondamentale album dolphyano Out to lunch!) si avvicina al free jazz che cambia profondamente il suo pensiero musicale.
L’incontro con la musica rivoluzionaria del chitarrista inglese Derek Bailey e con gli esponenti del free jazz nipponico – il sassofonista Kaoru Abe e il chitarrista Masayuki Takayanagi – imprime una svolta ancora più radicale alla sua concezione musicale e al suo approccio strumentale.
Negli anni Novanta, Otomo comincia a utilizzare anche il giradischi come sorgente sonora, ispirandosi al lavoro pionieristico portato avanti sin dalla fine degli anni Settanta da Christian Marclay, con il quale si esibirà in duo.
Il primo gruppo fondato da Otomo è Ground Zero. Nato per eseguire la conduction Cobra di John Zorn, Ground Zero diventerà uno dei gruppi fondamentali per la musica sperimentale underground degli anni Novanta, non solo in Giappone. Un impressionante e violento muro di suono, una macchina mesticatrice di generi, Ground Zero ha forse come unico parallelo, con i dovuti distinguo, le coeve esperienze dei Naked City del già citato Zorn.
Il duo Filament con Sachiko Matsubara (conosciuta ai più come Sachiko M), che aveva già militato in Ground Zero – e che utilizza solamente campioni di onde sinusoidali – porta Otomo a esplorare nuove prospettive musicali. Il duo debutta nel 1998 con l’album Filament 1 (Otomo al giradischi e Sachiko M al sampler, con impiego esclusivo di campioni di onde sinusoidali), che esce per l’etichetta australiana Extreme. Se confrontato con la furia massimalista delle produzioni di Ground Zero (che terminano le attività nello stesso anno), Filament è un viaggio estremo e rigoroso negli aspetti timbrici della materia sonora e nel silenzio. Con le contemporanee esperienze di Phosphor in Germania e Polwechsel in Austria, Filament inaugura la tendenza destinata a cambiare il corso dell’improvvisazione radicale del primo decennio degli anni Duemila: il riduzionismo.
Negli anni successivi, la ricerca di Otomo è volta a sviscerare gli aspetti di questa nuova ed estrema pratica improvvisativa, con innumerevoli collaborazioni, tra le quali vale la pena di ricordare: Toshimaru Nakamura, Günter Müller e Rhodri Davies (con Filament), Keith Rowe, Taku Sugimoto, ErikM, Tetuzi Akiyama. Molte di queste collaborazioni sono state documentate dall’etichetta austriaca Erstwhile.
Nel 2005 fonda la “Otomo Yoshihide New Jazz Orchestra” (con cui si è esibito anche a Fabbrica Europa nel maggio 2005), una versione mutante della tradizionale big band jazz, con la quale pubblica l’eponimo ONJO e il già citato omaggio a Eric Dolphy Out to Lunch!. Questi due dischi vedono la partecipazione, tra gli altri, di Axel Dörner, Mats Gustaffson, Ko Ishikawa, Sachiko M e Toshimaru Nakamura.
A partire dalla fine del decennio scorso, la musica di Otomo – nonostante l’artista giapponese si sia dedicato anche alla composizione di musica da film e abbia pubblicato un sorprendente album di solo piano – ha spesso virato verso toni più accesi e robusti rispetto a quelli del precedente periodo “riduzionista”, come dimostrano le collaborazioni con il trio di Mats Gustaffson The Thing, con Paal Nilssen-Love e Lasse Marhaug, e con Roger Turner.
Dovrebbe rientrare in questa tendenza anche la collaborazione con il giovane sassofonista statunitense Chris Pitsiokos, appartenente alla nuova scena improvvisativa newyorkese che unisce un’urgenza debitrice della fire music storica a una minuziosa ricerca timbrica.
img © Andy Newcombe
Lascia una risposta