[*Leonardo Barbadoro, compositore di musica elettronica ed elettroacustica, conosciuto anche sotto il nome di Koolmorf Widesen, ha appena lanciato una campagna crowdfunding su Kickstarter per il suo nuovo progetto “Musica Automata – Music for Computer Controlled Robots” (link: https://kck.st/2wWMQgQ). In questo contributo ci parla del suo progetto, sviluppato presso la Logos Foundation di Gent, in Belgio.]
Musica Automata è una composizione per diciannove automi musicali controllati tramite un computer. Gli automi in questione sono diciannove strumenti acustici in grado di ricevere messaggi digitali MIDI (protocollo standard per l’interazione degli strumenti musicali digitali) i quali contengono precise istruzioni per la loro performance. Questi robots sono stati progettati e costruiti da Godfried-Willem Raes e fanno attualmente parte della <M&M> Orchestra della Logos Foundation a Gent, in Belgio, la più grande orchestra musicale di robots esistente al mondo. L’orchestra, infatti, comprende attualmente oltre sessanta automi musicali: percussioni, organi, strumenti a fiato, strumenti a corda e diversi strumenti non tradizionali. L’idea per la realizzazione di queste composizioni per l’orchestra di robots nasce dal mio fascino per gli strumenti acustici a controllo digitale. Le possibilità espressive di questi strumenti sono potenzialmente infinite grazie al controllo MIDI dei loro numerosi parametri: questi, infatti, non si limitano al controllo delle note, ma offrono moltissime altre possibilità tra cui il controllo della dinamica, inviluppo del suono, controllo microtonale, varie diteggiature e, in molti casi, persino movimento meccanico durante la performance. L’esecuzione strumentale di un automa, grazie alla sua estrema precisione, può dunque superare su molti fronti quella di un musicista tradizionale e, insieme, introdurre nuove possibilità espressive mai precedentemente sperimentate. Ciò che mi ha affascinato maggiormente di questi automi è che, accanto all’accurato controllo digitale, presentano caratteristiche performative proprie degli strumenti musicali e suonano come strumenti acustici in uno spazio reale, a differenza ad esempio delle librerie digitali di campioni acustici, le quali sono una mera e approssimativa imitazione degli strumenti reali: sistemi di riproduzione in playback quantizzati in codici binari. Il suono acustico reale è ben più complesso di questo. Esso, come sappiamo, è soggetto a infinite variabili (date dall’acustica del materiale con cui lo strumento è costruito, dalla colorazione dell’ambiente e persino dalla temperatura e densità dell’aria in cui il suono si propaga); inoltre, la quantizzazione digitale dei campionatori, o dei sintetizzatori digitali, crea un’approssimazione del suono acustico e non permette facilmente le reali articolazioni presenti negli strumenti tradizionali.
I campionatori digitali, infatti, non producono suoni, ma si limitano bensì a riprodurre una sequenza pre-registrata, come avviene per un disco o un CD. Il suono viene così privato di queste variazioni continue tipiche di una reale performance acustica, diventando esclusivamente una sterile successione di dati quantizzati sempre uguali a se stessi. La realtà è ben lontana da questo, e penso che, in un certo senso, siamo affascinati dagli strumenti acustici anche per le loro imperfezioni, variazioni e asimmetrie sonore.
L’uso che ho fatto degli automi musicali rimane però in funzione della musica e non viceversa: sarebbe stato secondo me troppo scontato e prevedibile scrivere particolari virtuosismi e acrobazie strumentali per il solo obiettivo di stupire l’ascoltatore con le possibilità tecniche esecutive dei robots. All’interno della composizione gli automi musicali sorpassano spesso le possibilità esecutive umane, ma la musicalità dell’opera e il suo impatto emotivo sono stati i miei obiettivi principali fin dall’inizio di questo progetto.
Il compositore, nel momento in cui scrive lo spartito MIDI, diventa anche in qualche modo interprete, poiché fornisce tutte le informazioni dettagliate che il robot andrà a eseguire. A questo punto, però, è naturale domandarsi se l’idea musicale, concepita, elaborata e tradotta in un determinato linguaggio (in questo caso quello MIDI) possa essere eseguita da una macchina senza perdere il suo valore artistico. Da qui nasce probabilmente l’idea comune per cui la musica debba provenire direttamente dalle mani di un esecutore umano per essere considerata tale. In verità, secondo me, in questo caso si commette un po’ un’ingenuità poiché si dimentica che l’automa rimane pur sempre una creazione umana, non un’altra categoria. Facendo un semplice paragone, sarebbe come dire che un nostro pensiero esposto oralmente perde il suo valore se scritto oppure se inviato attraverso un email. Il risultato sarà sicuramente diverso, ma le macchine rimangono dispositivi creati dall’uomo in grado di eseguire operazioni che seguono precisi algoritmi da lui programmati. Infatti, gli automi in questione non possiedono un’intelligenza artificiale che gli consente di formulare alcun pensiero musicale. Essi eseguono precisamente ogni comando inviato dall’uomo, lasciando anzi, ancor meno margine di interpretazione, errore e variazione rispetto a un musicista. Il robot riprodurrà sempre le note ricevute con estrema precisione, una precisione ben superiore al musicista più capace. A questo punto si potrebbe pensare dunque che tutte quelle imperfezioni e asimmetrie di cui abbiamo parlato scompaiano, dando alla musica un carattere rigido e meccanico. In verità, queste imperfezioni sono sempre presenti, poiché sempre di strumenti acustici si tratta. Se prendiamo come esempio un semplice tamburo, la sua accordatura non sarà mai perfettamente uguale ogni colpo, così come la riverberazione dell’ambiente circostante colorerà il suono in un determinato modo sempre diverso. Volendo, attraverso il linguaggio MIDI, è possibile aggiungere anche altre variazioni sempre diverse, tipiche dell’esecuzione di un musicista. Si può ben capire dunque che, come dicevamo, chi scrive lo spartito MIDI diventa in qualche modo anche esecutore oltre che compositore. Il ruolo di esecutore del robot è puramente meccanico. Il controllo musicale rimane totalmente in mano all’uomo. I robots si limitano a eseguire i comandi che ricevono. Essi non possono essere considerati in alcun modo interpreti.
Molte persone spesso credono ancora che la musica debba provenire direttamente dalle mani di un esecutore umano per essere considerata tale e avere un impatto emotivo sull’ascoltatore. Con questo progetto vorrei sfatare questa convinzione poiché, secondo me, il vero fattore determinante per la realizzazione di un’opera d’arte è la nostra mente, la vera parte di noi umani adibita alla creazione. Le mani di un musicista eseguono l’idea musicale prodotta dal nostro cervello: esse sono esclusivamente uno dei tanti, e non unici, modi possibili per controllare uno strumento.
Nell’immaginario collettivo, quando si parla di robots siamo abituati a immaginarli con sembianze umanoidi, una voce metallica etc. In questo caso però delle sembianze umanoidi non servono a niente se non a stupire lo spettatore. Gli automi della Logos foundation, sono volutamente “nudi”, per poter mostrare allo spettatore il loro funzionamento.
Un altro aspetto per me affascinante degli automi musicali è il lato performativo. Essi rimangono a tutti gli effetti degli strumenti che suonano in uno spazio reale: possiamo sentire e vedere da dove provengono i suoni, possiamo osservarli e trovare correlazioni ben precise tra i loro movimenti e il suono che percepiamo. Questo aspetto non è presente in molte performance di musica elettronica: guardando un performer dietro ad un computer o un sintetizzatore, difficilmente riusciamo a trovare strette correlazioni tra il gesto e la musica percepita. Osservando da dove proviene il suono, cioè un altoparlante, troveremo ancor meno correlazioni. Questo non è un aspetto necessariamente negativo, anzi, l’astrazione è sempre stata uno degli aspetti che mi hanno affascinato più nella musica elettronica, ma mi pare comunque importante sottolineare questa differenza.
Per quanto la gestualità di una performance acustica sia totalmente assente, trovo affascinante la percezione di suoni che non hanno origine da un movimento fisico di uno strumento, come il movimento delle corde di un violino che spostano l’aria, ma esclusivamente da variazioni di tensioni elettriche all’interno di un circuito di sintesi, poi trasdotte da un altoparlante. In questo caso l’ascoltatore non è influenzato attraverso altri sensi oltre l’udito e la musica diventa l’unico elemento centrale della performance.
Link di approfondimento:
https://www.facebook.com/musicaautomata/
https://www.facebook.com/koolmorf/
https://soundcloud.com/koolmorf
img © Luca Cingolani
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