di Luisa Santacesaria
[In occasione del concerto inaugurale del Tempo Reale Festival – Suoni e musica di ricerca, che si è tenuto alla Galleria Frittelli di Firenze il 13 marzo 2024, abbiamo intervistato Giancarlo Schiaffini, che ha eseguito per la prima volta a Firenze Post-Prae-Ludium n. 1 per Donau per tuba e live electronics di Luigi Nono, di cui è dedicatario]
Post-Prae-Ludium n. 1 per Donau per tuba e live electronics, del 1987, è un brano che nasce dalla stretta collaborazione tra lei e Luigi Nono. Come avete lavorato insieme?
Giancarlo Schiaffini. Nono mi aveva chiesto di eseguire tutti i diversi suoni che potevo fare con la tuba e che potessero essere combinati con l’aiuto dell’elettronica. Tra questi c’era un suono che gli piaceva molto, fatto coi mezzi pistoni – cioè posizionando i pistoni a metà, per cui non producevo mai un suono intero ma una specie di canto delle balene. Poi gli feci sentire cose che già conosceva, suoni emessi cantando mentre suonavo, quindi immettendo suoni multipli dentro la tuba. Un altro suono era prodotto cantando in falsetto dentro la tuba; dunque, passando tutto dentro la tuba, non si sentiva quasi più il suono della voce.
A un certo punto gli chiesi se potessi fare il vibrato. Nono odiava il vibrato, ma il vibrato classico, ottocentesco. Gli feci sentire il vibrato alla J.J. Johnson, famoso trombonista jazz di qualche tempo fa. Era un suono molto fermo che poi vibrava verso la fine. Gli sembrò bellissimo, dunque decise di usarlo; Post-Prae-Ludium n. 1 per Donau è l’unico pezzo della sua letteratura in cui è richiesto il vibrato (in partitura c’è proprio scritto “vibrato”). È stato molto divertente.
Poi mi chiese le note che potevo fare – la più grave, la più forte – e si segnò questi estremi, oltre agli effetti dei suoni modificati che gli avevo suggerito. La cosa buffa è che queste prove le avevamo fatte qualche mese prima a Freiburg: io avevo catalogato i suoni e lui si era segnato tutto. Nel 1987 si tenne un festival dedicato a Nono a Parigi in cui eseguimmo il Prometeo e altri pezzi da camera. Una settimana dopo era prevista la prima di Post-Prae-Ludium n. 1 per Donau, a Donaueschingen, ma lui non mi aveva ancora dato la partitura.
Va detto che con Nono non avevamo mai la musica prima, la ricevevamo in loco al massimo due giorni prima del concerto. Ad esempio, per Risonanze erranti avevamo una settimana di prove a Colonia ma lui stava poco bene e ci mandava due o tre pagine al giorno. L’ultima pagina era arrivata la sera prima del concerto e la prima lettura completa l’avevamo fatta la mattina del concerto in una prova aperta agli studenti. Noi solisti – Roberto Fabbriciani, io, Ciro Scarponi, Stefano Scodanibbio e Susanne Otto –– avevamo già lavorato a lungo con lui e sapevamo bene cosa volesse. Qualche sorpresa è arrivata negli anni, ma mai grave… era il suo metodo di lavoro.
La volta della première di Post-Prae-Ludium n. 1 per Donau, il giorno prima di partire gli chiesi: “Dove vado? Vado a Donaueschingen o torno a Roma?”. Lui mi invitò a pranzo nel suo albergo per il giorno dopo, dove mi dette questi tre fogli che aveva scritto la notte e la mattina stessa, sulla base degli appunti di qualche mese prima.
In Post-Prae-Ludium n. 1 per Donau, come funziona la relazione tra strumentista ed elettronica?
GS. L’elettronica è importantissima in questo pezzo e nell’opera di Nono rappresenta l’inizio di un uso massiccio dell’elettronica rispetto agli anni precedenti in cui era dubbioso.
Mentre suono, il mio suono viene elaborato in vari modi durante tutto il pezzo, e devo fare certe cose in modo che vadano con certe elaborazioni. È una specie di duo che facciamo con i tecnici del suono, perché anche loro devono seguire il suono, in particolare quando si inspessisce o si riduce.
Nelle note che Nono scrisse per la prima esecuzione assoluta del brano, e che ora compaiono nella partitura, si legge: “Nuove possibilità tecnico-esecutive di una tuba a sei pistoni danno all’interprete continua libertà, a partire da queste indicazioni, di plasmare eventi sonori casuali sempre nuovi”. Può argomentare questo concetto di libertà?
GS. Come si vede anche in partitura, ci sono vari episodi che si susseguono in maniera abbastanza informale. Non c’è la classica struttura di un pezzo che comincia in un modo e finisce in un altro, oppure la forma sonata con i modi consueti.
La prima parte dura 5’20’’, segue una di 3’40’’, poi altre con durate diverse. All’interno di questi pezzi ho una certa libertà, soprattutto nella prima parte.
Su questo posso raccontare un altro aneddoto. Luigi Nono non era presente alla première a Donaueschingen per altri impegni, io sono andato con i tecnici e l’abbiamo eseguita lì e poi varie altre volte. Mi pare che lui l’abbia ascoltata solo l’ottava volta (per me questa è la n. 85 da allora!). Eravamo a Berlino, Nono era anche un po’ nervoso per cose sue, tra l’altro aveva litigato, anche per motivi politici, con il direttore, un tedesco della DDR.
Abbiamo cominciato un po’ sulle spine e, dopo due minuti, ci ha fatti fermare e ha chiesto ai tecnici di fare certe operazioni più varie con le quattro piste. Poco dopo avere ricominciato è venuto da me a chiedere di suonare più il suono che lui preferiva, quello delle balene. Io ho detto che anche a me piaceva molto ma che nella partitura lui aveva segnato dei percorsi precisi. La risposta di Nono è stata: “Ma va’ in mona, fa un po’ come te par!”.
Qualcuno ha definito questo pezzo una improvvisazione guidata. Infatti, entro certi limiti, posso fare certi suoni in certi modi e tutte le volte può essere un po’ diverso, anche se la struttura è sempre la stessa. E l’elettronica sottolinea in maniera molto precisa i diversi episodi.
Suona questo lavoro dal 1987. Come e in cosa è cambiato questo lavoro per lei in tutti questi anni?
GS. Per me non è molto cambiato. Io lo faccio in un certo modo, altri lo fanno sicuramente in maniera diversa e devo dire che ho sentito delle esecuzioni proprio tremende. Anche perché io so cosa piaceva a Nono e lui sapeva cosa facevo io.
Per eseguire Post-Prae-Ludium n. 1 per Donau non è sufficiente leggere la partitura: in questo caso la parte scritta è limitata ma c’è un lavoro sul suono e sul timbro che deriva da dieci anni di diretta collaborazione con lui. A Nono non importavano tanto la scrittura o il virtuosismo ma il suono espressivo, il suono naturale, anche elaborato, che avesse però una sua espressione diretta.
Lascia una risposta