di Giovanni Mori
Breve preambolo: non sono solito fare autopromozione ma questa volta ho scelto di rompere questa prassi grazie al buon riscontro ottenuto dal mio libro Live Coding? What Does It Mean? pubblicato per i tipi di Aracne ormai più di un anno fa. A questa mia insolita mossa hanno contribuito anche le numerose richieste di amici e colleghi dentro Tempo Reale, che mi hanno convinto che un breve articolo divulgativo avrebbe potuto aiutare ulteriormente non tanto la diffusione del libro, ma piuttosto la conoscenza di questa particolare tecnica performativa chiamata live coding e delle sue caratteristiche intrinseche. Quindi inizierò parlando di come questo libro si è originato e riassumerò brevemente i suoi contenuti, soprattutto per chiarire le parti che richiederebbero al lettore uno sforzo notevole di comprensione.
Quindi iniziamo. Il libro si origina da un periodo di ricerca che si è svolto negli anni del dottorato di ricerca che ho svolto presso l’Università di Firenze. Durante questo periodo, sono riuscito a sviluppare e concludere il progetto che ho messo su carta in un primo momento in forma di tesi e successivamente, con ulteriori sviluppi, nel libro oggetto di questo articolo. Il progetto si è sviluppato principalmente fuori dall’Italia e in particolare nel Regno Unito dove ho svolto delle campagne di ricerca sul campo ed attività analitiche per circa un anno e mezzo. Oltre allo svolgimento della fase di documentazione etnografica, qui ho potuto scambiare idee e ricevere spunti da molti attori locali della scena live coding, ma soprattutto ho ricevuto il supporto e gli stimoli di uno dei protagonisti del movimento nonché docente universitario, Thor Magnusson, che non ringrazierò mai abbastanza per il suo aiuto e per gli spunti che mi ha dato.
L’ispirazione iniziale per sviluppare il progetto di dottorato si è sprigionata a partire dal mio lavoro precedente, incentrato su una figura eclettica e fuori dagli schemi come Pietro Grossi, del quale abbiamo più volte parlato all’interno di questo sito. Infatti, ci sono numerose somiglianze tra la pratica compositiva al computer sviluppata dal musicista veneziano e quelle dei live coder, come ho avuto modo di spiegare anche in alcuni articoli scientifici nonché all’interno del libro nella prima sezione dedicata agli antecedenti storici del movimento. Un altro contributo fondamentale nel focalizzare bene l’oggetto e la strategia di ricerca è stato quello del mio tutor di dottorato, il prof. Maurizio Agamennone, che mi ha spinto verso una ricerca con prospettiva etnografico-sociologica molto stimolante.
Passiamo alla descrizione dei contenuti del libro. Nel primo capitolo ho effettuato una panoramica sugli artisti e sui fenomeni culturali che hanno portato, direttamente o indirettamente, alla nascita del live coding. Tra questi possiamo citare Hugh Davies, il movimento degli hacker e dei maker ed appunto il già citato Pietro Grossi. Il discorso prosegue in linea temporale, raccontando le prime manifestazioni del live coding arrivando fino ai nostri giorni, effettuando dei confronti anche con altri movimenti musicali. Alcuni paragrafi in particolare trattano in dettaglio i meccanismi che governano l’aspetto improvvisativo collegato al live coding, che assume delle caratteristiche peculiari in questa pratica. Infatti, il live coding è tecnicamente un’attività di programmazione ed il fatto che si svolga dal vivo la rende performativa. Quindi esprime sia caratteristiche appartenenti alla composizione musicale, pratica che avviene in tempo differito ovvero con una distanza di tempo tra l’ideazione del pensiero sonoro e la sua realizzazione pratica, sia alla improvvisazione, dove invece le due fasi creative coincidono temporalmente. Questi aspetti sono stati analizzati impiegando una innovativa teoria di interpretazione dei fenomeni musicali improvvisativi: la Teoria delle Musiche Audiotattili sviluppata dal musicologo Vincenzo Caporaletti. Seguendo questa prospettiva, ho potuto addentrarmi maggiormente nei processi che governano l’improvvisazione musicale (ma anche di altre manifestazioni artistiche) ed interpretare le particolarità del live coding. Questo argomento meriterebbe un approfondimento dedicato che per ragioni di lunghezza, rimando ad un articolo futuro.
Nella seconda parte del libro mi dilungo maggiormente sugli aspetti tecnici della fase di ricerca etnografica, spiegando nel dettaglio la particolarità di fare ricerca sul campo in una comunità che si riunisce e produce contenuti culturali in contesti molto variegati, sia online sia “offline”. Quest’ultimo è il campo naturale dell’etnografia, ovvero la ricerca che l’etnografo fa di persona, andando nei luoghi e documentando i fenomeni culturali. Riguardo il primo contesto, sono state sviluppate invece alcune diverse tecniche di indagine. La più importante è la cosiddetta Netnografia, che impiega le strategie tipiche dell’etnografia ma declinate e rimodulate per funzionare in un contesto virtuale. Quindi, nella Netnografia, come nell’etnografia, esiste l’osservazione esterna che in questo caso si svolge nel campo virtuale, per esempio sui social e sui forum dove si riunisce la comunità. Esiste l’osservazione partecipante (quando il ricercatore è direttamente coinvolto come membro della comunità), l’intervista, il sondaggio e così via, ma tutte attuate con strategie che massimizzano i propri risultati nel campo virtuale. Ogni strumento ha la capacità di fotografare una piccola parte delle attività prodotte dalla comunità che poi il netnografo dovrà mettere insieme per rappresentare una immagine il più completa possibile del contesto indagato. In questo capitolo quindi cerco di giustificare come e perché ho deciso di utilizzare questi strumenti di indagine.
Nel terzo capitolo del libro analizzo la struttura sociale e valoriale su cui è costruita la comunità dei live coder: i membri che la compongono, la distribuzione e le politiche di genere, il loro rapporto con l’aspetto economico delle attività svolte e come si relazionano con altre comunità artistiche o creative. In questo contesto, il termine “economia” è da interpretare nel suo senso più ampio ovvero quello dell’attribuzione di valore agli artefatti e la loro circolazione e distribuzione sia all’interno sia all’esterno della comunità. Fatto questo, l’ultimo paragrafo del capitolo è dedicato ad un’analisi comparativa tra la comunità dei live coder ed altre comunità a loro affini dalle quali in molti casi hanno tratto ispirazione, evidenziando aspetti comuni e differenze.
Nel quarto ed ultimo capitolo infine vengono descritti tutti i vari tipi di manifestazione in cui è possibile assistere ad una performance di live coding. Particolarmente popolare è la forma denominata Algorave, nata intorno all’inizio degli anni ’10 del nostro secolo nel Regno Unito e rapidamente diffusasi in tutto il mondo come una delle principali tipologie di eventi live coding a livello globale. Il format consiste in una successione di diversi/e live coder a distanza di un tempo prestabilito per tutti/e uguale. La musica che si può ascoltare solitamente appartiene agli stili afferenti alla dance music e alla club culture anche se non ci sono particolari restrizioni. Solitamente, chi suona tende anche a proiettare lo schermo del proprio PC all’interno del locale per rendere chiaramente visibile al pubblico il processo creativo nel suo svolgersi. Alla descrizione dei vari contesti si affianca anche un’analisi della loro funzione nella dinamica della performance, vedendo come in contesti diversi si producano manifestazioni di tipo diverso. Per esempio, nell’Algorave l’atmosfera è molto informale e c’è una forte interazione tra pubblico e musicisti il che porta questa manifestazione a diventare un evento partecipativo, in cui il musicista e il pubblico si influenzano a vicenda continuamente. Nel contesto invece di quello che ho chiamato concerto di live coding, l’atmosfera è molto più simile al concerto frontale tipico della cultura occidentale, in cui il musicista si esibisce sul palco ed il pubblico assiste senza una diretta interazione. In questo caso abbiamo quindi quello che Thomas Turino chiama una performance “presentazionale”, con tutta una serie di dinamiche particolari e valori diversi rispetto all’esempio precedente: complessità sonora, maggiore elaborazione e accuratezza nell’atto performativo, virtuosismo, importanza della sfumatura sonora.
Quindi, per chiudere questo lungo articolo, l’intenzione che sta sotto a tutto il libro è quella di evidenziare come questa tecnica sia collegata a tutta una serie di pratiche, tradizioni, dinamiche culturali a lei precedenti e contemporanee e come si inserisca a pieno nel nostro contesto culturale dominato dalle tecnologie informatiche. È importante notare anche che il live coding ha anticipato alcune tendenze a cui ci ha costretto l’attuale situazione sanitaria dovuta al virus COVID-19. Per fare solo un esempio, già nel 2015 nel live coding era pratica comune esibirsi da remoto in performance musicali, sia attraverso gli strumenti classici dello streaming di contenuti (YouTube live, Facebook Live e altri), sia con altri strumenti appositamente studiati, come extramuros, per esempio, che consente di eseguire jam session di live coding da remoto. Quindi, penso che la conoscenza di questa tecnica e di tutto ciò che ci gira intorno possa essere di ispirazione a molti attori del campo delle arti performative su come ripensare una vera e originale ripartenza dopo questa forzata e, si spera, ancora breve lontananza dal pubblico.
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