di Marco Baldini
[Label! Label! è una nuova rubrica a cura di Marco Baldini sulle etichette discografiche di musica sperimentale. Ogni contributo è dedicato a un’etichetta, raccontata da una breve intervista ai suoi fondatori/curatori. In questo primo appuntamento parliamo di Kohlhaas con Marco Segabinazzi]
Iniziamo dal nome dell’etichetta, immagino che sia un riferimento all’omonimo racconto di Heinrich Von Kleist. Come hai deciso di iniziare questo percorso?
Marco Segabinazzi: Già, il riferimento è proprio quello, anche se ora, a distanza di qualche anno, non so se per un progetto di questo tipo farei la stessa scelta, con l’ingombro che un nome così *letterario* porta con sé. Devo dire che è stata anche un’abile mossa di marketing, dato che nessuno ricorda mai come scriverlo, quante sono e dove vanno le H, e in buona parte dei casi uno pensa per prima cosa a Koolhaas l’architetto. Comunque ai tempi Kleist, e a quel racconto in particolare, erano stati per me una lettura importante (lo sono tuttora), e quindi eccoci qui.
La storia di come nasce Kohlhaas è simile a quella di credo moltissime altre piccole label: da tempo organizzavo concerti nella mia zona (in particolare al Loco’s e a The Hub, a Rovereto) e la cosa mi aveva permesso di entrare in contatto con un sacco di artist3, scene, etichette indipendenti. L’idea di curare un piccolo progetto editoriale c’era già da tempo in forma embrionale, serviva l’occasione valida per rompere il ghiaccio: l’occasione è arrivata alla fine del 2013, quando ho organizzato un paio di date a Luca Freddi e Fabio Valesini, che conoscevo già bene perché parte di Satan Is My Brother, band di Boring Machines che aveva già suonato qualche volta da queste parti. Luca e Fabio avevano questo nuovo duo ambient morbidissimo, c’era già del materiale ma non ancora un disco, per cui insieme a Stefano Santabarbara/My Dear Killer e la sua label Under My Bed (peraltro anche lui invitato a suonare qui in precedenza) ci siamo detti: coproduciamolo. Ed è così che è uscito il primo (e ahimè unico) album di A Finnish Contact. Poi a dire il vero sono rimasto fermo parecchi mesi e quando ho ripreso le produzioni con più regolarità il catalogo ha preso una piega per molti aspetti radicalmente diversa.
Kohlhaas ha un catalogo eterogeneo ma coerente che va dall’improvvisazione radicale all’elettroacustica, dalla poesia sonora alla composizione contemporanea. Come è cambiata l’estetica dell’etichetta nel corso degli anni e quali sono le esperienze musicali che più ti interessano al momento?
MS: Soprattutto nei primi tempi il catalogo era davvero molto eterogeneo, per cui sapendo che quello tra eterogeneità e coerenza è un equilibrio delicato ho spesso considerato che sarebbe stato alto il rischio di finire con l’avere un insieme di generi e ricerche affastellati senza una forma di organicità. La mia percezione è che questo equilibrio si sia stabilizzato in tempi relativamente recenti: ora finalmente mi sembra che, all’interno dei molteplici linguaggi e forme che convivono in un catalogo di certo non vasto, si riesca a distinguere una linea comune nella ricerca di questi linguaggi e forme. Da queste scelte di catalogo e da altri aspetti, come ad esempio quelli più legati alla cura editoriale, spero che traspaia una certa cifra.
Elettroacustica, composizione contemporanea, improvvisazione radicale sono presenti in diverse misure da parecchio tempo nelle uscite dell’etichetta e sento che continueranno a esserlo a lungo. Mentre la ricerca sulla vocalità, sia essa legata o meno alla parola e alla scrittura, è comparsa in tempi più recenti, prima con Deva Ovel, poi con Didone di Alessandro Bosetti e Polvere di rabbia di Giovanni Di Domenico. Prima dell’album di Deva Ovel la voce era un elemento quasi del tutto assente dal catalogo mentre ora, se penso anche ad alcune delle uscite in programma per il 2023, nei lavori in cui è presente è quasi sempre centrale.
Al momento sono molto attratto dal lavoro legato ai suoni e materiali trovati o, in senso più ampio, a una dimensione archiviale della ricerca sonora. È un ambito che in realtà seguo da molto tempo ma che all’interno dell’etichetta è stato finora forse meno presente di altri; dunque, è facile che tra le uscite del (magari non così prossimo) futuro qualcuna di queste andrà in quella direzione.
Per il prossimo futuro sto poi lavorando ad alcuni sconfinamenti nella carta stampata, non necessariamente legati in modo diretto a delle produzioni discografiche.
Tre uscite dal tuo catalogo?
MS: Direi un paio di uscite di quest’ultimo anno, anche per restituire un’immagine più fedele allo stato attuale, e una decisamente meno recente, nei tre casi cercando di rappresentare almeno in parte quell’eterogeneità del catalogo di cui abbiamo detto:
Primorje – Hoof Stand
Giovanni Di Domenico – Polvere di rabbia
Umanzuki – Andante plumbeo
Artwork © Davide Parolin
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