di Marco Baldini
[Label! Label! è una nuova rubrica a cura di Marco Baldini sulle etichette discografiche di musica sperimentale. Ogni contributo è dedicato a un’etichetta, raccontata da una breve intervista ai suoi fondatori/curatori. In questo secondo appuntamento parliamo di 901 Editions con Fabio Perletta]
901 Editions è ormai una delle etichette italiane di riferimento nell’ambito della musica di ricerca. Nata nel 2018 dalle ceneri della tua precedente label Farmacia901, da allora ha messo su un catalogo di pregio con proposte di rilievo. Ci racconti la storia dell’etichetta e di come si è evoluta dalla precedente esperienza?
Farmacia901 nasce a Roma nel 2008, durante gli anni dell’università, in una piccola stanza che condividevo con Davide (Luciani), con cui poi ho fondato Mote Studio. All’epoca ascoltavo cose diverse da quelle che ora trovano posto nelle pubblicazioni dell’etichetta, per intenderci mi piacevano i dischi dei Faust, Can, Neu!, Glenn Branca, Loren Connors, Keiji Haino, My Bloody Valentine, Slint, John Coltrane, Eric Dolphy, ma iniziavo a nutrire già da anni prima un particolare interesse per il movimento “microsound”, che però stava esaurendo la sua energia, essendo nato alcuni anni prima. Quei suoni sono stati particolarmente d’ispirazione per gli sviluppi dell’etichetta e il mio percorso personale. Devo molto a etichette come LINE, 12k, raster-noton, in particolare nei primi anni della loro affermazione. Lo stesso vale per le grafiche, trovo ancora molto bello quell’approccio bidimensionale, scarno, semplice, monocolore. Dopo la parentesi romana sono tornato nella mia città natale, Roseto degli Abruzzi, dove ho riscoperto la bellezza della natura e del silenzio, vivendo in una casa molto tranquilla in collina. “Blue.Hour” di Yann Novak segna questa nuova fase, caratterizzata da suoni più dilatati, microscopici, puntillistici, che è culminata successivamente nella pubblicazione di lavori di Asmus Tietchens, Nicolas Bernier, Luigi Turra e Shinkai (David Sani). In seguito alla transizione in 901 Editions non è cambiato nulla da un punto di vista strutturale, sono sempre io a occuparmi di tutto, dalla scelta degli artisti da pubblicare alla progettazione grafica, dalla gestione degli ordini ai distributori. Dedico sicuramente più tempo a 901 Editions rispetto al passato. Più che un’evoluzione c’è stato un naturale interesse verso gli aspetti più installativi e spaziali legati al suono (Alois Yang, Akio Suzuki, Adam Basanta, Nicola Di Croce, Yann Novak), derive improvvisative e approcci elettroacustici (Marina Rosenfeld + Ben Vida, Haptic, Ensemble Ektos, Luigi Turra, Giuseppe Ielasi, Renato Grieco + Bruno Duplant, Ikeda/Nakajima/Oshiro), musica ambientale (Fuantei, Minamo, Giovanni Di Domenico), tendenze lowercase (naturalmente Steve Roden e Vittorio Guindani). Mi guida un’incessante curiosità e una inevitabile attenzione ad altri territori che vanno di pari passo con quello che mi attrae personalmente. Sono molto felice delle pubblicazioni, grazie alle quali ho potuto conoscere il lavoro di artisti che amo profondamente molto più da vicino, come quello di altri che non conoscevo e che poi sono diventati anche ottimi amici. Ho imparato tanto.
Come definiresti l’estetica musicale di 901 Editions? E, essendo tu anche un affermato musicista, quanto (e se) diverge la tua idea musicale rispetto alla pletora di esperienze che hai documentato con l’etichetta?
Non sono molto sicuro che 901 Editions abbia una sua estetica, nel catalogo si possono trovare cose molto diverse, afferenti a svariati modi di pensare il suono e di lavorare con esso. Quello che invece è fondamentale e che forse (spero) crea un senso di comunità attorno al lavoro che faccio è l’attitudine, la tendenza verso una certa contemplazione delle cose che si riflette nei suoni, senza necessariamente essere ambient (cosa che peraltro è divenuta molto volgare negli ultimi anni), l’utilizzo del suono come veicolo di indagine spaziale, ma non field recording a tutti i costi. Continuano ad affascinarmi le pratiche riduzionistiche, seppur non tutte devo dire, come del resto anche nel mondo dell’improvvisazione ci sono cose che trovo notevoli e altre che mi annoiano. Aderire a un’estetica significherebbe chiudersi inevitabilmente. Ricordo un’intervista di Mike Harding a Steve Roden a cui viene chiesto il motivo per cui non avesse un’etichetta di riferimento; “perché non sono molto consistente, come un brand”, replica Roden. Più che di un’estetica parlerei quindi di una dimensione sensibile dove confluiscono diverse visioni, attenzioni a certi aspetti del reale, indagini su alcune tematiche soprattutto non-musicali: il silenzio, le cose piccole, la microbiologia, la fisica quantistica, l’architettura e la fascinazione verso alcune pratiche giapponesi come il tè, lo zazen, lo shodo, il teatro Noh e Butoh. La mia esperienza personale ha sicuramente un ruolo fondamentale nella documentazione dei lavori in seno all’etichetta: il mio lavoro di artista influenza l’attività discografica di 901 Editions e viceversa. Tutti i lavori pubblicati aiutano a definire la mia idea di suono, pertanto non c’è una divergenza, piuttosto una convergenza. Entrambi sono percorsi di una persona e come tali coincidenti e sempre in divenire.
Tre uscite dal tuo catalogo?
Questo mi mette un po’ in difficoltà, sceglierne tre è davvero arduo, essendo tutte importanti per me. Ci provo, di getto:
Fabio Perletta + Luigi Turra | “Ma”
Questo lavoro rappresenta una delle esperienze più significative della mia vita, poiché innanzitutto segna la mia prima collaborazione con il caro amico e artista Luigi Turra. Grazie a questo progetto ho avuto modo di approfondire il lavoro di Tadao Ando – a cui questo album è ispirato – che continua ad affascinarmi. Non mi stancherei mai di guardare e studiare il suo lavoro, neppure di restare a lungo in uno dei suoi spazi ad ascoltare l’architettura che modella i suoni. A prescindere dall’ispirazione, “Ma” è un’indagine sull’ideogramma 間, che nella lingua giapponese si può tradurre come pausa (tra due note musicali), spazio vuoto tra due elementi strutturali (architettura), intervallo.
Akio Suzuki | “Resonant Spaces”
Avere un progetto di Akio Suzuki su 901 Editions è sempre stato un mio sogno, sono pertanto felice di averlo coronato. Mi ha sempre incuriosito il suo modo quasi spartano, giocoso ma complesso di lavorare con il suono. Resonant Spaces è un album speciale, essendo registrato in vari luoghi remoti (e straordinari) della Scozia, durante un tour organizzato nel 2006 da Arika che vide la partecipazione di Suzuki e il sassofonista John Butcher. La bellezza dei luoghi e le insolite qualità acustiche di alcuni spazi (l’Hamilton Mausoleum ha un riverbero di 15 secondi) rendono i suoni di Suzuki particolarmente suggestivi.
Steve Roden | “Gradual Small Fires (and a Bowl of Resonant Milk)”
Non credo che Steve Roden abbia bisogno di presentazioni, il suo lavoro è quanto di più vero e ispirato ci sia in giro. Una persona autentica e un’artista incredibile. Mi sento molto fortunato di averlo conosciuto e di aver lavorato con lui a questo bellissimo progetto. “Gradual Small Fires (and a Bowl of Resonant Milk)” è una raccolta di brani creati per il Creative Media Center dell’università di Hong Kong New Media School, in particolare per l’opening della struttura progettata da Daniel Libeskind. Come gran parte dei lavori di Roden, ci sono diverse ispirazioni che convergono all’interno del progetto e questo in particolare vede la creazione di disegni ispirati a un celebre ed enigmatico libro fotografico di Ed Ruscha dal titolo “Various Small Fires and Milk”, che mostra varie scene quotidiane in bianco e nero di piccole fiamme emesse da stufe, sigarette, fiammiferi seguite da un bicchiere di latte.
Artwork © Davide Parolin
Lascia una risposta