di Edwin Lucchesi*
Dagli anni ’50, Giacinto Scelsi ricerca nelle proprie composizioni quella che lui definisce la «profondità del suono», ovvero il lavoro sul timbro nella sua accezione più larga: gli andamenti agogici, le densità sonore, i registri, il dinamismo interno, le variazioni e le micro variazioni che il timbro di ogni singolo strumento è capace di produrre nei suoi modi di attacco, di interazione con gli altri strumenti, le modificazioni spettrali, le modulazioni di frequenza o d’intensità. Questa continua ricerca culmina nel suo celebre lavoro Quattro pezzi (su una sola nota) per orchestra da camera (1959). Inoltre, in questo periodo compositivo, Scelsi fa spesso riferimento a un Oriente mitico, una sorta di Mongolia segreta dell’animo, un «altrove» interiore, come si evince dai titoli e dai relativi sottotitoli di ogni singola opera, che evocano una narrazione già di per sé suggestiva: Hurqualia. Un Rovaume différent (1960); Aiôn. Quatre épisodes d’une journée de Brahma (1961); Khoom. Sept épisodes d’une histoire d’amour et de mort non-écrite dans un pays lointain (1962); Uaxuctum, la leggenda della città di Maya autodistrutta per ragioni religiose (1966).[1] Nella scrittura di Scelsi lo strumento e la voce non hanno più la semplice funzione di produrre note, piuttosto quella di costruire un’entità sonora che può suscitare tutto questo immaginario evocativo.
Nel 1967 Giacinto Scelsi intraprende la scrittura di Ko-tha, il cui sottotitolo è Trois danses de Shiva, pour guitare traitée comme instrument de percussion. L’esecuzione di quest’opera, come nel caso di altri lavori di Scelsi, avvenne alcuni anni più tardi: nel 1974, all’Aquila, eseguita dal chitarrista Gianluigi Gelmetti, ora noto direttore d’orchestra. Sulla derivazione del significato del titolo Ko-tha non si trovano molti riscontri, se non quelli geografici di un luogo in India situato a nord-ovest vicino ad una città chiamata Jamnagar, su un’isola in mezzo ad un lago, dove al centro sono situati due monumenti: il forte Lakotha e la roccaforte Kotha. Il sottotitolo evocatore che Scelsi attribuisce alla sua opera “mette in guardia” il chitarrista: non si tratta di un pezzo ordinario, e il suono stesso dello strumento non deve essere tradizionale. Come possiamo leggere nelle note dell’opera, «L’esecutore terrà la chitarra appoggiata in orizzontale sulle ginocchia.»[2]
Scelsi è ispirato dalla gestualità e dalla posizione del loto adottata da Gelmetti mentre lavorano insieme all’elaborazione dell’opera: «Durante la composizione di Ko-Tha, sono stato colpito dalla qualità sonora particolare di questo strumento visto sotto l’aspetto percussivo. A partire da ciò, non mi è stato più possibile di vederlo altrimenti, poiché non ero attratto dal timbro tradizionale della chitarra»[3]. In appendice potete inoltre trovare l’intervista che ho fatto al maestro Gelmetti riguardo l’esecuzione e la sua esperienza su questo lavoro. L’opera, nei suoi tre movimenti, è imprescindibilmente ispirata alla figura mitologica di Shiva come Nataraja (Re della danza): il dio viene rappresentato nel Tândava, danza della distruzione. Due delle braccia sono leggermente piegate, una delle mani sorregge il damaru, il tamburello che è lo strumento musicale con cui ritma la sua danza, e la fiamma rappresenta il fuoco con il quale genera la distruzione. Shiva danza all’interno di un cerchio di fuoco che simboleggia il rogo del mondo. Schiaccia sotto il suo piede destro la figura mitologica di un nano, il quale rappresenta il velo illusorio (Maya) cui sono preda gli esseri umani, e che solo il dio è in grado di dissolvere nella sua danza distruttiva che porterà ciclicamente ad una nuova creazione.
Questi tre movimenti di Ko-Tha rappresentano – attraverso i suoni percossi, le risonanze delle corde a vuoto e gli sviluppi timbrici combinati di questi due elementi – l’immagine ciclica e rituale della danza cosmica di Shiva.
Nel primo movimento, per esempio, a partire dal vuoto, dal nulla (le sette prime misure), nasce improvvisamente il ritmo regolare della creazione.
[img © Per gentile concessione delle Editions Salabert]
Questa generazione della vita è simbolizzata dalla diversificazione progressiva del materiale. Poi il tempo accelera, c’è l’agitazione che culmina nella parte violenta del Tândava, danza della distruzione.
[img © Per gentile concessione delle Editions Salabert]
L’accelerazione senza freni e il carattere sempre più violento della danza porta alla distruzione del mondo che si frantuma negli accordi violenti delle misure da 107 a 110.
[img © Per gentile concessione delle Editions Salabert]
Per poi dissolversi totalmente nel vuoto del mi grave che richiama l’inizio: il cerchio si chiude, un nuovo ciclo può allora cominciare.
[img © Per gentile concessione delle Editions Salabert]
Scelsi, che non si considerava un compositore, come un artigiano che “mette insieme” dei codici formali, preferiva vedersi come un postino, un intermediario che cercava dei mezzi, come i nastri magnetici, per fissare istantaneamente le sue idee compositive; come farebbe oggi chi lavora con gli strumenti elettronici. E, se gli veniva chiesto un consiglio da parte di qualche chitarrista che desiderava eseguire Ko-Tha, lui rispondeva:
«Che non cerchi di studiare! Ma una conoscenza di Shiva e delle sue connessioni possono certamente aiutarlo. Un lavoro di analisi dettagliata, che ci serve per l’esecuzione o per la coreografia, può esser utile al suo esito. Ma si può ottenere questo risultato solamente identificandosi a Shiva. Troppo spesso, si parla di lavoro senza pervenire al risultato richiesto. Prima di tutte le cose, bisogna scegliere di “essere”.»[4]
Per l’intervista di Edwin Lucchesi a Gianluigi Gelmetti, cliccare qui.
[1] Tristan Murail, Scelsi De-Compositore, in Viaggio al centro del suono a cura di Pierre Albert Castanet e Nicola Cisternino (Luna Editore, La Spezia 2001).
[2] Partitura edita da Editions Salabert (Parigi), 1989.
[3] Francesco Cuoghi, Giacinto Scelsi, Les anges sont ailleurs… (Actes Sud, Arles 2006).
[4] Célestin Deliége, Cinquante ans de modernité musical. De Darmstadt à l’IRCAM : contribution historiographique à une musicologie critique., Editions Mardaga, Bruxelles 2003, p. 876.
*[Edwin Lucchesi è un chitarrista e performer musicale pratese laureato in chitarra classica al Conservatorio “L. Cherubini” di Firenze. Ha partecipato a numerosi festival di musica contemporanea sia come solista che in ensemble, facendo delle tecniche estese la sua cifra stilistica, ispirandosi a chitarristi come Fred Frith, Marc Ribot, Eivind Aarset e David Torn. Compone musica per la danza e il teatro.]
Lascia una risposta