di Marco Baldini
Marc Sabat – Gioseffo Zarlino [SR010]
“Con ogni nuova consonanza si svelano nuove possibilità per il movimento melodico così come nuove complessità armoniche, paradossi e dissonanze. I sistemi tonali si evolvono riflettendo la pratica musicale e scoprendo nuove relazioni percepite dei suoni“. Marc Sabat introduce così il brano titolato Gioseffo Zarlino nel testo che ne accompagna la partitura.
Sabat è un compositore canadese che da anni si dedica alla ricerca di sistemi d’intonazione alternativi, come la just intonation, ma anche al recupero di temperamenti storici che hanno preceduto il sistema equabile. È il caso di questo brano dedicato a Zarlino, compositore e teorico rinascimentale, tra le più importanti menti musicali del Cinquecento. Zarlino elaborò un sistema di intonazione che superava quelle che lui considerava le imperfezioni del temperamento pitagorico. Ne Le istitutioni harmoniche (1558), Zarlino fu uno dei primi, insieme a Pietro Aaron, a descrivere varie tipologie di temperamento mesotonico, il sistema d’intonazione che ebbe grande fortuna fino all’età barocca.
Ispirato dalla sua lettura del notevole scienziato-musicista Tolomeo, nel 1558 Gioseffo Zarlino descrive uno spazio tonale diatonico e cromatico definito dagli intervalli razionali compresi fra i numeri 1 e 6 (il senario). Questo spazio espande la divisione pitagorica dell’ottava, comprese le terze e le seste consonanti, per descrivere meglio la pratica contemporanea del Contrappunto vocale. Parte da qui Sabat per elaborare il suo brano che è il terzo di una serie di lavori ispirati da “idee” rivoluzionarie nella storia della teoria musicale. Il suo pezzo esce per la Sacred Realism di Catherine Lamb e Bryan Eubanks, in una versione stupenda eseguita dall’Harmonic Space Orchestra che vede oltre lo stesso Sabat alla viola e Lamb alla voce, Silvia Tarozzi al violino, Deborah Walker al violoncello, Yannick Guedon alla voce, Rebecca Lane al flauto, Thomas Nicholson all’organo positivo, Marta Garcia-Gomez all’arpa e Frederik Rasten alla chitarra.
Catherine Lamb – Prisma Interius VII & VIII [SR011]
Il disco gemello di Gioseffo Zarlino è questo Prisma Interius VII & VIII, edito sempre da Sacred Realism e interpretato dall’Harmonic Space Orchestra (una emanazione dell’etichetta più che un organismo autonomo, dato che rispetto al disco di Sabat, a esclusione di Lamb e Lane, tutti i membri sono mutati per questo disco). Il disco include due pezzi della serie Prisma Interius di Catherine Lamb, costruita intorno alle possibilità del Secondary Rainbow Synthesizer e alla sua interazione con strumenti acustici. Il Secondary Rainbow Synthesizer è uno strumento ideato tra il 2016 e il 2017 da Lamb con Bryan Eubanks che utilizza il suono dell’ambiente esterno al luogo di esecuzione come fosse un noise generator. Il suono esterno viene poi utilizzato come elemento base da sottoporre a un processo di sintesi sottrattiva. Prisma Interius VII è eseguito al violino da Johnny Chang, fondatore di Konzert Minimal e collaboratore di lungo corso di Lamb (ad esempio nello stupendo progetto in duo “Viola Torros”, del quale è uscito un bellissimo doppio disco per Another Timbre) e da Xavier Lopez al Secondary Rainbow Synthesizer. Prisma Interius VIII è per un organico più vasto: oltre a Xavier Lopez e John Huston al SRS, troviamo Rebecca Lane al flauto a becco tenore, Lamb alla viola, Lucy Railton al violoncello e Jon Helibron al contrabbasso. Un disco che, come quello di Sabat, a dispetto della complessità della concezione dietro la sua costruzione, esprime una musicalità di rara bellezza.
Riccardo La Foresta – Drummophone [KHS 016]
Di Riccardo La Foresta, percussionista fra i più notevoli emersi nel panorama della musica di ricerca italiana degli ultimi anni, e del suo drummophone, avevamo già parlato qua in occasione dell’uscita della cassetta Does the World Need Another Drum Solo? edito da Yerevan Tapes nel 2019. Questa uscita per la trentina Kohlhaas di Marco Segabinazzi è una sorta di compendio ideale della ricerca sonora e organologica condotta da La Foresta sullo strumento di sua ideazione, appunto il drummophone, nell’arco degli ultimi tre anni. Rispetto all’uscita per Yerevan Tapes qua la materia sonora si fa più astratta. Il suono e i gesti – complice gli ambienti di registrazione dotati di un’acustica peculiare (un hangar alla periferia di Modena e il Museo Hermann Nitsch di Napoli) – sono dotati di una vividezza estrema, quasi fossero scolpiti nel silenzio degli spazi. Il disco conferma l’incredibile duttilità del drummophone e la maestria di La Foresta nel piegarlo alle sue intuizioni musicali. Registrato da Lorenzo Abbatoir (Modena), Renato Grieco (Napoli) e masterizzato da Giuseppe Ielasi, artwork dell’artista Natália Trejbalová.
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