di Agnese Banti
Nel percorso di ricerca per il progetto installativo /krəʊk/ (parola pronunciabile solo dagli anfibi), nonché di tesi biennale presso il Conservatorio di Bologna, ho incontrato voci di rane e rospi d’ogni dove che mi hanno, senza esagerare, folgorata. A onor di cronaca, il momento illuminante è arrivato durante un’esperienza acusmatica “naturale” sulla riva di un laghetto mantovano: in una notte di casuale field recording ho percepito in maniera molto forte la musicalità del verso delle rane, tanto da non sapere se attribuire tale percezione allo stato di dormiveglia o se quel suono fosse “effettivamente” così musicale di per sé. Ecco, da quel momento le rane sono diventate una simpatica ossessione che mi ha accompagnato per più di un anno.
Le rane sono sempre state definite e descritte per la loro vocalità, tant’è che l’etimologia indoeuropea RAK della parola “rana” vuol dire proprio “emettere una voce” [1]. Un esempio in letteratura di questo è la celebre commedia di Aristofane “Le Rane” (406-5 a.C.) in cui, come si legge nel saggio della musicologa Eleonora Rocconi [2], il coro di rane ha un vero e proprio collegamento multidirezionale con la musica. Dal momento che la voce delle rane è un materiale sonoro “naturale” particolare non sorprende che sia stato oggetto di interesse della bioacustica, dei soundscape studies e di attività di field recording. Murray Schafer (Sarnia, Canada, 1933), compositore che ha dato vita nel secolo scorso a un vasto campo di studio dell’ecologia acustica, racconta così la moltitudine di voci di rane e rospi in quella che è considerata una Bibbia sul paesaggio sonoro:
Sᴄʜᴀғᴇʀ, R. M., Il paesaggio sonoro, Edizione CASA RICORDI e LIM Editrice, 1985
[…] L’America del Nord possiede un’orchestra intera: il belare del rospo dalla bocca stretta, l’abbaiare della rana latrante, il pigolio della ranocchia di primavera, i trilli della rana grillo di palude e del rospo americano. […] Le più piccole tra le rane grillo ronzano come degli insetti, la rana della prateria sembra un tamburo, un’altra varietà ancora russa, la rana verde suona il banjo mentre la rana toro del sud rutta. […] Per i nordamericani le rane sono quello che le cicale sono per i giapponesi o per gli australiani. Le stridulazioni acute e risonanti del rospo del sud (Bufo terrestris) ricordano, senza dubbio, quelle di una cicala; i trilli sostenuti del rospo dell’ovest (Bufo cognatus), come risulta dalla registrazione, hanno avuto una durata di 33 secondi. […] [3]
Seppur molto diverse fra loro, come si evince dalla colorata descrizione di Schafer, le voci di questi anfibi condividono alcune qualità sonore, una specie di minimo comune denominatore che diventa interessante se osservato in ottica compositiva: sono voci quasi sempre dotate di coralità ed infatti nella maggior parte dei casi comporre con rane e rospi equivale a comporre per un coro; condividono timbriche con la voce umana e questo può creare un interessante senso di sovrapposizione identitaria; si articolano in forme ripetitive poliritmiche che creano un senso di pluralità e stabilità in continuo cambiamento fino a diventare un “vocal drone” [4]; all’interno di questi pattern ritmici, dal momento che le rane “cantano” per attrarre un esemplare e superare “il canto” degli altri contendenti [5], si trovano piccole cellule di grande energia sonora che insieme possono creare un vero e proprio “muro sonoro” [6] molto forte e talvolta fastidioso a seconda della fascia frequenziale che occupa.
Entrando nel vivo delle qualità appena elencate è possibile, a mio parere, mettere in connessione per analogie timbriche e ritmiche queste voci con soggetti musicali diversi fra loro come la voce umana in modalità overtone/throat singing, alcuni suoni di sintesi e la modulazione di forme d’onda, la musica ripetitiva poliritmica (come quella canti pigmei o composizioni di musica ripetitiva americana dello scorso secolo), il didgeridoo (strumento della tradizione aborigena in cui anche il movimento delle guance e la conservazione dell’aria sulla gola ricordano il funzionamento della sacca vocale delle rane) [7] e alcune forme di canti di lavoro, sui quali ho piacere di soffermarmi. Da un recente studio etnomusicologico [8] sui canti delle mondine emerge che la modalità di fonazione (un registro vocale acuto tra gola e testa a voce piena), il fatto che le canzoni si snodino senza soluzione di continuità e il carattere prevalentemente “festosamente combattivo dal volume potente” [9] siano il collante di un repertorio vasto ed eterogeneo. A partire dalla semplice analogia ambientale (il lavoro delle mondine avveniva in ambiente paludoso da aprile a giugno) è curiosamente possibile pensare a un’analogia timbrica proprio fra le rane e il canto delle mondine stesse: un po’ sguaiato e ripetitivo, la voce di gola non educata e il volume potente sono caratteristici forse del fatto che, per riuscire a sentirsi in un ambiente con un alto tasso di umidità, la voce ha bisogno di un tono squillante e di volume. L’associazione fra un canto di lavoro e quello delle rane trova felicemente riscontro in letteratura, nello stesso studio di filologia antica precedentemente citato [10] in cui viene paragonata la costruzione di un botta e risposta fra il solista Dioniso e il coro di rane in Aristofane e un canto di rematura di marinai, in un passo [11] del romanziere del 300 a.C. Longo Sofista.
“Senti le rane che cantano” [12] è proprio l’incipit di un famoso canto di lavoro delle mondine ed è anche una frase che solletica la seguente domanda: si può dire, senza intendere solo una metafora linguistica, che le rane cantino? Per provare a dare una risposta è necessario entrare nel merito della disciplina che indaga se ci sia o meno un uso estetico nella comunicazione sonora presso gli animali: la zoomusicologia [13]. Sembra che recenti studi siano in grado di affermare che sia provata l’esistenza di duetti musicali e di comportamenti coristici che vanno oltre una funzione biologicamente chiara [14] e ci sono teorie che ipotizzano l’esistenza di un grande archetipo musicale universale al quale tutte le specie viventi farebbero capo nel loro specifico sviluppo [15]: a oggi non sappiamo quanto sia antica l’attività musicale umana ma sappiamo che è vicina al cervello preistorico dei protorettili. La musica, quindi, potrebbe precedere il linguaggio umano poiché l’uomo condivide con altre specie animali manifestazioni comportamentali canore, dimostrando un’impressionante reciproca somiglianza nell’utilizzo di molte strutture musicali. È curioso infine realizzare come questo punto di arrivo dell’indagine chiuda per me il cerchio ricongiungendosi con l’intenzione del progetto /krəʊk/, in cui le variopinte e oracolari [16] voci di rane e rospi vogliono farsi portatrici di un’idea primordiale di musica.
Per concludere ecco i dischi che mi hanno accompagnato in questa ricerca, buon ascolto!
– Charles M. Bogert – Sounds of North American Frogs (Smithsonian Folkways Recordings, 1958)
Una raccolta commentata di versi di rane dell’America del Nord contenente più di una cinquantina di specie in 92 tracce audio, realizzata dall’erpetologo Charles M. Bogert (Mesa, Colorado, 1908 – Santa Fe, New Mexico, 1992) in collaborazione con l’American Museum of Natural History.
– Jean Claude Roché – Au pays des Grenouilles – Frog talk – Guide sonore des amphibiens (FREMEAUX & ASSOCIES, 1997)
Un volume dedicato alle rane d’Europa in cui sono raccolte più di trenta specie in 69 tracce audio a cura dell’ornitologo e figura di spessore per la bioacustica dello scorso secolo, Jean Claude Roché (Boulogne-Billancourt, Francia, 1931). Mi sono permessa di rendere disponibile all’ascolto una delle mie tracce preferite
– Chris Watson – Stepping into the Dark (Bandcamp, 1996)
River Mara at night, quinta traccia del disco, è una fotografia sonora del fortissimo paesaggio notturno estivo del fiume Mara in Kenya contenente, tra insetti e ippopotami, le cosiddette “rane degli alberi”. Una fotografia realistica registrata e riproposta rispettando l’unità di tempo, di luogo e l’equilibrio del paesaggio sonoro stesso dal musicista e sound recordist inglese Chris Watson (Sheffield, UK, 1952).
– Emmanuel Holterbach – Patterns in a Moonshine Soundscape (Bandcamp, 2004-2009)
Un disco di sei brani di Emmanuel Holterbach (Lyon, France, 1971), registrato all’aperto in un ambiente pieno di rane e rospi dove un organico di strumenti acustici convive con un “milione di creature invisibili e pattern vocali poliritmici”.
[1] https://etimo.it/?term=rana (ultima consultazione febbraio 2020).
[2] Rᴏᴄᴄᴏɴɪ, E., Il canto delle rane in Aristofane, academia.edu, 2016.
[3] Sᴄʜᴀғᴇʀ, R. M., Il paesaggio sonoro, Edizione CASA RICORDI e LIM Editrice, 1985, pp. 60-61.
[4] Kʀᴀᴜsᴇ, B. L., The Great Animal Orchestra, Finding the origins of music in the world’s wild places, Profile Books, 2013, pp. 103. Inoltre Le voci delle rane, articolate nei pattern ritmici e armonici, possono diventare facilmente una fascia tessiturale, come dice la canzone tradizionale salentina Lu rusciu te lu mari, in cui in realtà il suono percepito come “rumore del mare” altro non è che il canto di “ranocchiule” in lontananza: Na sira ieu passai te le padule / e ‘ntisi le ranocchiule cantare. / Comu cantanu belle a una a una / ca me pariane lu rusciu te lu mare… (https://it.wikisource.org/wiki/Lu_rusciu_te_lu_mare ultima consultazione marzo 2020).
[5] Nᴀʀɪɴs, P. M., Comunicazione fra rane, in Le Scienze, 1995.
[6] Listening for the wooden chimes of tree frogs, we were met by a heavy rhythm, a wall of nocturnal sound. Wᴀᴛsᴏɴ, C., River Mara At Night, 21.30h – 16th September 1994. (https://chriswatson.net/category/releases/ ultima consultazione febbraio 2020).
[7] Cfr. Nota [5]
[8] Cᴀsᴛᴇʟʟɪ, F., Jᴏɴᴀ, E., Lᴏᴠᴀᴛᴛᴏ, A. Senti le rane che cantano. Canzoni e vissuti popolari della risaia. (con CD audio), Donzelli Editore, Saggi. Storia e scienze sociali, 2005.
[9] Gɪᴏᴠᴀɴɴᴏɴᴇ, P. M. (https://ibs.it/senti-rane-che-cantano-canzoni-libro-vari/e/9788879899437 ultima consultazione febbraio 2020).
[10] Cfr. Nota [2]
[11] Sᴏғɪsᴛᴀ, L. – Dafni e Cloe, 3, 21 (trad. M. P. Pattoni, Milano, 2005).
[12] Senti le rane che cantano / che gioia e che piacere /lasciare la risaia / tornare al mio paese… (https://www.ildeposito.org/canti/senti-le-rane-che-cantano ultima consultazione febbraio 2020).
[13] La zoomusicologia è una disciplina recente e ha origine con Musique, Myth et Nature, testo del 1982 di François Bernard Mâche (Clermont-Ferrand, Francia, 1935), musicologo e compositore francese che fa parte della lunga lista degli allievi di Olivier Messiaen (Avignone, Francia, 1908 – Clichy, Francia, 1992). È un campo di studi interdisciplinare che coinvolge nella sua ricerca la semiotica, l’etnomusicologia, le scienze sociali, l’etologia e la filosofia.
[14] The striking vocalizations of frogs and toads have also been termed ‘songs’, often in reference to the existence of duetting throughout some nineteen genera, or more complex chorusing behavior, the biological function of which has hitherto eluded all investigators. Fʀɪɴɢs, H., Fʀɪɴɢs, M., Animal Communication. Norman: University of Oklahoma Press, 1977, p. 179 in Mᴀʀᴀɴ, T., Mᴀʀᴛɪɴᴇʟʟɪ, D., Tᴜʀᴏsᴋɪ, A. READING IN ZOOSEMIOTICS, De Gruyter Mouton, 2016, p. 212.
[15] Pᴀʏɴᴇ, R. N., La vita segreta delle balene, Mondadori, Milano,1996 in Mᴀʀᴛɪɴᴇʟʟɪ, D., Quando la musica è bestiale per davvero. Studiare e capire la zoomusicologia. Arcane Editore, Roma, 2011.
[16] Quello degli animali è un linguaggio dimenticato, smarrito, che si manifesta solo in certi momenti, solo a certe persone. Come quello di profetici o estatici. È un linguaggio oscuro, addirittura vincolato dal segreto, ma esiste e si manifesta per brandelli sonori. Ecco perché il canto degli uccelli – così musicale, complesso e raffinato – sembra sempre sul punto di ri-articolarsi nelle forme del linguaggio umano. La vocalità delle creature aeree, quella a cui Alcmane attingeva niente meno che le parole e la melodia della propria poesia, a ogni nota evoca il senso: vi allude, lo corteggia e, come nella notte di Natale, lo fa balenare alle orecchie degli uomini. Bᴇᴛᴛɪɴɪ, M., Voci – Antropologia sonora del mondo antico, Carocci Editore, Roma, 2018, p. 211.
[artwork © Agnese Banti & Andrea Trona]
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