finestresonore~ | Gesto, materia, approccio: considerazioni sullo strumento musicale informatico

di Francesco Vogli

Da quando ho iniziato a suonare dal vivo con computer e controller ho percepito una frattura, una sorta di discrepanza, che mi ha portato a riflettere sulla divergenza tra il suonare uno strumento acustico e suonare uno strumento informatico. Questo contrasto tra la percezione dell’esistenza della materia nello strumento acustico e nel mezzo informatico, che forse è proprio del percorso di molti musicisti elettronici, mi ha portato naturalmente a chiedermi da dove nasca questa tensione: il processo informatico di produzione del suono porta alla percezione dell’esistenza di una materia?

Il suono è vibrazione, è rarefazione e compressione dell’aria, sia che essa venga prodotta da un fagotto, sia che essa venga prodotta da un algoritmo collegato ad una coppia di diffusori. La differenza più evidente tra strumento acustico e informatico viene però percepita nel rapporto tra musicista e strumento; la comprensione di un algoritmo informatico che sta alla base di un qualsiasi strumento digitale, infatti, ci appare meno istintiva della comprensione di regole fisiche che governano la maggior parte degli strumenti acustici (come ad esempio un classico tamburo a cornice o uno strumento a fiato). È proprio in questa fase che diventa necessaria la scelta di un’interfaccia coerente, per avvicinare il mondo digitale a quello fisico e renderne più istintivo l’approccio. Questo gap tra mondo fisico e algoritmo, che tenta di essere colmato e che spesso viene disatteso, è il punto tensivo che ha fatto scattare in me queste riflessioni. Un mondo che mi ha permesso di far fiorire queste domande è la conduction, nella quale il musicista informatico si trova a scontrarsi inevitabilmente con i limiti tecnici e fisici del suo strumento.

LFO #8 (conduction for electroacoustic ensemble and live electronics)

La storia del mezzo informatico come strumento musicale è davvero recente, si può quasi dire che non esista una storia, volendo confrontarla con un qualsiasi altro tramite sonoro (dai bastoni, dalle pietre e dalla voce utilizzati nella preistoria dagli abitanti delle caverne fino ai più classici strumenti pre-elettronici, come il violino, la chitarra, la tromba). Andando a prendere a titolo d’esempio proprio uno strumento acustico dalla storia meno ampia di altri, il pianoforte ha impiegato più di 100 anni di evoluzione tecnica e oltre 3000 anni di studio dell’acustica per arrivare ad una forma stabile come la conosciamo oggi. Questo sapere pregresso lo ha reso uno strumento estremamente sofisticato (concetto ovviamente estendibile a qualsiasi strumento “classico”), non solo dal punto di vista costruttivo, ma anche dal punto di vista interattivo. Quando si preme un tasto del pianoforte, quando si pizzica una corda di un’arpa, quando si soffia nell’ancia di un clarinetto, l’esecutore sente lo strumento stesso che vibra e risponde immediatamente, e lui medesimo si mette in risonanza con il suo comando. Nello strumento informatico c’è modo di andare così in profondità? Lo strumento acustico ha una natura più intima? Trovo affascinante questo brano, in cui l’elettronica, nonostante sia fissata e non venga “generata” dal vivo, segue idealmente una gestualità propria degli strumenti acustici. Che sia una possibile strada anche questa?

[extract] Marco Momi, Unrisen (2016)

Prendo una matita e la percuoto sul tavolo davanti a me: il feeling che si installa in me è indubbiamente maggiore che con un controller. O magari non è maggiore, è semplicemente diverso, effettivamente più intimo e profondo intrinsecamente; lo strumento informatico per natura è altro. Questo ragionamento mi ha portato a ripensare il concetto di suonare lo strumento informatico e digitale, facendo scaturire in me una certa inadeguatezza in ciò che viene gergalmente definito “suonare il computer”. Il suono che spesso esce dal mio laptop è troppo sofisticato in relazione al controllo istantaneo che posso avere, è disorientante. Il laptop è forse troppo permissivo? Se da un lato il computer permette una grandissima varietà di suoni e di utilizzi, dall’altro questa permissività fa nascere disorientamento sul come approcciarsi a questa grandissima possibilità di relazione.

In questi anni, grazie anche agli insegnamenti ricevuti da più fronti, sono arrivato a pensare che forse ciò che mi mancava di più da un mezzo così potenzialmente infinito come il computer fosse proprio la semplicità. Non a caso, l’essenzialità è stata necessaria nelle prime sperimentazioni con gli strumenti elettronici, quando un secolo fa nacque il theremin. Lo strumento è semplicissimo, fa “una cosa sola”, eppure il risultato dipende tantissimo dal controllo che l’esecutore ne ha. Devi avere una padronanza della gestualità che è tecnicamente assimilabile a quella necessaria per suonare un pianoforte, o un violino. È interessante notare come proprio nel theremin la fisicità stessa sia messa in crisi, nonostante un semplice fader sia più materico di un campo magnetico invisibile, andando a dimostrare come non sia l’assenza di materialità a mettere in crisi il rapporto suono/materia.

Generare un suono estremamente articolato premendo “play” è rischioso; un suono che supera così tanto la gestualità stessa non mi cattura, mi lascia semplicemente perplesso. Se, invece, questo tipo di generazione va di pari passo con il gesto, allora sì: tanto più la tua gestualità è raffinata tanto più ne guadagna il suono stesso. Una boccata d’ossigeno, in tal senso, sono stati per me i primi microfoni a contatto con cui ho avuto a che fare, che associati ad un DSP (Digital Signal Processing) informatico mi hanno permesso di ritrovare quel feeling materico che prima andavo a ricercare nei “posti sbagliati” del mio computer.

È possibile che fra 1000 anni avremo una padronanza estremamente più sofisticata dello strumento elettronico?Forse la ricerca sul mezzo informatico è ancora troppo nuova per aspettarsi di avere un controllo come su un pianoforte. Nonostante le problematiche che percepisco, l’ecosistema dell’informatica musicale ha così tante sfaccettature, così tante possibilità di sviluppo e così tanto potenziale da affascinarmi profondamente, a tal punto da volermici dedicare pienamente negli anni a venire. Tutti questi interrogativi nascono per un motivo: la volontà di immaginare un DSP informatico che incapsuli questi concetti, basandosi esclusivamente sul suono elettronicamente inteso. Magari ci vorranno decenni, eppure sono convinto che questo contrasto potrà essere risolto.

Three minutes with Alexander Schubert 

[artwork © Agnese Banti e Andrea Trona]

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Elettronica Collettiva Bologna~
Facebook • Instagram • Soundcloud 

Coordinamento finestresonore~
Agnese Banti, Andrea Trona e Francesco Vogli
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

La rubrica finestresonore~ racconta l’identità molteplice di persone, approcci, opinioni e interessi all’interno del campo della musica sperimentale e delle arti sonore che dà vita a Elettronica Collettiva Bologna~, ovvero un pensiero musicale e una realtà collaborativa nati nella Scuola di Musica Elettronica del Conservatorio G.B. Martini di Bologna.

finestresonore~ | Gesto, materia, approccio: considerazioni sullo strumento musicale informatico ultima modifica: 2021-01-07T19:15:36+01:00 da Luisa Santacesaria

Lascia una risposta