[Pubblichiamo la seconda parte dell’articolo di Andrea Valle “Come costruire un serraturofono a borracce programmabile e interattivo. Guida teorico-pratica”. Per la prima parte cliccare qui.]
1. Lo strato fisico
Come si vedrà, il nome “serraturofono a borracce” descrive organologicamente lo strumento in questione in termini, rispettivamente, di sorgente e risonatore.[1]
In generale, la costruzione dei miei progetti richiede di rispettare molti vincoli:
– basso costo: dato per assodato un magro budget totale, il problema è reso più complicato dall’effetto moltiplicatore dell’ensemble (costo x n);
– competenze ridotte: va così, ne sono poco e so fare poco in relazione a molti dei compiti richiesti; [2]
– semplicità di assemblaggio: il criterio è cruciale nell’assicurare un “design for disassembly”.[3] Se si vuole suonare in giro, tocca portarsi dietro gli strumenti, che devono essere smontabili, impacchettabili in formato compresso (magari pure imbarcabili su un aereo in stiva) e rimontabili in tempo limitato;
– robustezza e manutenibilità: se fallisce il primo vincolo, almeno deve intervenire il secondo, con basso costo economico e di tempo (un corollario alla legge di Murphy prevede che gli strumenti si rompano alla prova generale);
– risoluzione temporale: il minimo sindacale per uno strumento (dal mio punto di vista, ça va sans dire) è che abbia una buona reattività temporale. Ovviamente, si tratta di assunto estetico, cioè che la musica sia organizzazione temporale di materiali sonori.
In relazione a questi vincoli, la costruzione di strumenti a percussione impulsiva e intonata pone un insieme di problemi interessanti. Per quanto concerne i risonatori, essi devono avere uno spettro armonico chiaro e una certa efficienza acustica. A tal proposito, il libro di culto a cui rimando per l’autocostruzione degli strumenti, in una prospettiva sia teorica che pratica, è “Musical Instrument Design” di Bart Hopkin.[4] Ad esempio, per i risonatori si può lavorare con tubi di diversa lunghezza o con piastre. Rimane il problema della lavorazione dei materiali (legno, ferro, vetro?) e soprattutto della finitura per assicurare l’intonazione. Inoltre, si fatica, se non in termini di budget (ma è un attimo), in termini di trasportabilità. Di qui la domanda: quale può essere un oggetto già pronto, di piccole dimensioni, a basso costo e intonabile? Risposta possibile: la borraccia di alluminio. L’intonazione avviene con l’immissione di una quantità variabile di acqua. Non tutte le borracce in realtà presentano uno spettro armonico, cioè una “nota” chiara: alcune infatti hanno uno spettro ricco che si differenzia tendenzialmente soltanto per registro. In sostanza, tocca provare. Se la borraccia ha una intonazione stabile, a quel punto la nota più grave è quella che si ottiene riempiendola al colmo (è la lunghezza della colonna d’acqua che determina la fondamentale, o almeno così va nel mio caso). Di qui, si procede per svuotamenti ad ottenere le altezze più acute, come si può vedere in Figura 1.
Fig.1
Nel caso in questione, le borracce da 0.75L permettono una escursione utile di poco più di un’ottava, a partire da un mib: 12 borracce compongono allora il set prescelto, a distanza di semitono (ma non facciamo troppo gli chic sul temperamento, che con le borracce non è il caso). Le borracce hanno una escursione dinamica interessante, sono cioè piuttosto squillanti, una caratteristica utile per i piccoli strumenti, spesso a dinamica ridotta. (Ometto la marca delle borracce perché nessuno mi paga per il product placement, ma per gli interessati il noto marchio è piuttosto riconoscibile).
Se negli strumenti acustici è l’esecutore che fornisce la sorgente energetica, in un contesto elettromeccanico ci va qualcos’altro. Gli attuatori disponibili non sono poi molti in termini di funzionamento base: motori (a corrente continua, passo passo o servo) e attuatori lineari.[5] I motori passo passo richiedono una logica di controllo (elettrico) più complessa. I servo costano più cari, sono semplici da controllare (basta un segnale), e si può selezionare la loro posizione radiale: così, si può forzare un movimento avanti e indietro, a mo’ di battente. Ad esempio, ho usato alcuni servomotori di piccole dimensioni per premere e anche pizzicare una chitarra.[6] Ma a un ritmo intensivo sono molto sollecitati (= si bruciano). I motori a corrente continua posso essere usati sia per convertire il moto circolare in lineare (come dice wikipedia, via “manovellismo di spinta rotativa, comunemente conosciuto come meccanismo biella-manovella”), sia per colpire una superficie via battente in posizione ortogonale al perno rotatorio, una volta per ogni rotazione. Entrambi i sistemi sono rappresentati nel Rumentarium.[7] Ma la soluzione più logica è quella degli attuatori lineari, via solenoide. Funzionano in modo discreto. Quando ricevono corrente, il cilindro interno alla spira compie un moto orizzontale, quando la corrente termina… dipende: se sono provvisti di un meccanismo di ritorno (una molla), tornano alla posizione di partenza, altrimenti vanno riportati all’origine. Se la logica è ovvia e aderente idealmente al funzionamento percussivo di un battente (come da progetto), l’utilizzo di attuatori lineari spesso è complicato: alcuni non hanno molla di ritorno (e non è banale trovarne o farne una adatta), altri ce l’hanno ma non basta, perché devono essere bloccati a una certa escursione del cilindro affinché la molla riesca a portarli indietro. I solenoidi più grandi e meglio attrezzati intuitivamente salgono di prezzo. Dopo essermi grattato la testa per un po’ (di anni) mi si è letteralmente aperta una porta: le serrature. Una serratura elettrica risolve il problema perché incastona il solenoide all’interno di una gabbia metallica (quella che viene avvitata alla porta), ed è dotata di un massimo e un minimo di escursione. Insomma, l’oggetto è autocontenuto e auspicabilmente robusto (nell’uso normale -non in quello parassitario che ne faccio io- deve operare con elevata frequenza per molto tempo). Inoltre, le serrature elettriche si trovano in commercio a costo contenuto e possono operare a basso voltaggio (12V), la condizione ideale per i progetti di physical computing. Infine, la struttura (la gabbia in cui è chiuso il solenoide) prevede già la possibilità di un suo inserimento meccanico su una superficie.
Una questione interessante negli strumenti elettromeccanici è che la disposizione di sorgente e risonatore va definita in maniera chiara e efficace. Ma non è così negli strumenti acustici: in quel caso, è tipicamente il corpo dell’esecutore che modula il suo comportamento in relazione alla risposta del risonatore, ad esempio staccandosi opportunamente da quest’ultimo e lasciandolo vibrare. Come nota Bart Hopkin, il corpo umano risolve brillantemente anche un altro problema: funziona come supporto, non solo del battente, ma spesso anche del risonatore (si pensi ai tamburi appesi al collo o alla vita). Infatti, Bart è un grande fan del corpo come soluzione al problema del supporto, ma sfortunatamente questa ipotesi non tiene nel nostro caso (non è cosa tenersi addosso una pletora di solenoidi, e il controllo non ne gioverebbe). È un problema gravoso, perché richiede di costruire (e bene) supporti adatti ed efficaci per i due tipi di oggetti. E siamo alle solite: competenze, costo, trasporto, etc.
La soluzione minimale nel serraturofono a borracce consiste allora in:
– avvitare a due barre di legno recuperate al Brico le serrature, in modo che siano più salde possibile;
– fermare le borracce alla superficie d’appoggio via nastro telato davanti a ogni serratura, regolando la posizione in modo che l’escursione massima di quest’ultima tocchi la borraccia relativa. La serratura deve sfiorare la borraccia perché la sua posizione di riposo è appunto alla massima escursione.
Per quanto raffazzonata, la soluzione con il nastro telato è efficace perché questo blocca la borraccia in posizione e insieme non le impedisce di vibrare (sennò niente ding, ma solo toc).
– le barre delle serrature vanno bloccate il più saldamente possibile a terra, poiché in funzione dell’azione dei solenoidi tenderanno ad allontanarsi dalle borracce. Anche in questo caso, il nastro telato è sempre il nostro migliore amico.
Il risultato si vede nelle Figure 2
Fig. 2
in cui si nota il posizionamento rispettivo delle serrature su una barra e delle relative borracce (aperte, per massimizzare la radiazione del suono), e 3:
Fig. 3
in cui si nota il contatto a filo tra battente e risonatore. Va notato che un elemento acustico supplementare (e ottenuto serendipicamente) nel serraturofono è dato proprio dallo schiocco delle serrature quando vengono “aperte”, che fa da attacco alla risonanza della borraccia. A questo punto, se si alimentano le serrature, ecco che le borracce squillano come campanelli.
[fine parte 2]
[1] Mi fa giustamente notare Giovanni Mori che più propriamente dovrebbe essere chiamato “borracciofono a serrature”. In effetti, avevo pensato al nome, ma come si vedrà le serrature producono uno specifico risultato sonoro, e nella mia idea le borracce possono essere sostituite da altri risonatori.
[2] A tal proposito, ho la fortuna di confrontarmi costantemente con Francesco Richiardi e Simone Pappalardo, e colgo l’occasione per ringraziarli.
[3] Paolo Tamborrini, Design sostenibile. Oggetti, sistemi e comportamenti, Milano, Electa, 2009.
[4] Bart Hopkin, Musical Instrument Design: Practical Information for Instrument Design, Tucson, Sharp Press, 1996.
[5] Nell’ambito di quello che si potrebbe chiamare “audio physical computing” (Andrea Valle, Audio physical computing, Proceedings of SMC 2009, accessibile qui), anche gli altoparlanti possono essere utilmente utilizzati come eccitatori meccanici.
[6] Per chi fosse interessato, altoparlanti come eccitatori e la chitarra di cui si parla sono documentati qui: https://vimeo.com/147016927
[7] Si possono vedere qui: https://vimeo.com/37148011
img © Andrea Valle
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