di Giulia Sarno
Partiamo da una cosa nota: tutte le opere d’arte che si fondano sull’uso delle tecnologie elettroniche, analogiche o digitali che siano, sono investite da un processo di obsolescenza inarrestabile che può renderle del tutto inerti dopo un tempo piuttosto breve dalla loro creazione. Questo spesso impedisce non solo che possano essere rieseguite/riallestite, ma anche che possano essere comprese e studiate: insomma, che possano entrare a far parte appieno del nostro patrimonio culturale, della nostra storia. C’è chi pensa che questo sia un problema, chi non se ne preoccupa affatto, e chi fa di necessità virtù, e incorpora questo dato di fatto nel suo agire e nella sua estetica, creando o promuovendo opere, performance e interventi che si danno esclusivamente nel loro presente, fatte per sfuggire alla ripetizione. Anche se capisco perfettamente le altre posizioni (soprattutto se derivano da scelte consapevoli e non da una forma di “pigrizia”), io faccio parte del primo gruppo.
Negli ultimi tre anni, nel corso del mio dottorato all’Università di Firenze, ho avuto modo di indagare i processi di obsolescenza nell’ambito specifico della musica elettronica degli ultimi quarant’anni. La mia ricerca infatti, di cui vi risparmio i dettagli, è incentrata sulla storia e sul patrimonio di Tempo Reale, un centro che a partire dalla fine degli anni Ottanta ha prodotto o ha contribuito alla creazione di oltre duecento tra opere musicali, installazioni, progetti performativi, opere multimediali e chi più ne ha più ne metta: una schiacciante percentuale di queste produzioni fanno ricorso a strumenti e materiali ad altissimo rischio di obsolescenza, e soltanto poche tra queste sono dotate di partiture (o mezzi descrittivi/prescrittivi analoghi) che ne permettano la trasmissione indipendentemente dagli strumenti tecnologici sviluppati per la loro creazione. L’archivio di Tempo Reale è il “luogo” in cui si conserva la memoria di queste opere, e il potenziale per la loro vita futura. Perché queste opere possano resistere all’impatto del tempo, l’archivio deve però essere attivato, deve cioè rivelarsi come dispositivo culturale.
Guardo all’archivio come a uno strumento memoriale complesso che, esplorato e manipolato, può restituire una molteplicità di narrazioni. Lo ha detto meglio di me Marco Scotini, noto curatore e critico d’arte:
Il nostro tempo non è più quello del prima e del dopo, ma quello dell’attuale e del virtuale. Questo significa che l’archivio in qualche modo non è una conservazione del passato ma una sua totale messa in questione e, allo stesso tempo, una soggettivazione della moltitudine contemporanea, proprio perché il passato per noi è una latenza, un potenziale mai concluso ma sempre pronto a riattualizzarsi all’interno della contemporaneità.[1]
Dai documenti che compongono l’archivio di Tempo Reale possono emergere infinite potenziali narrazioni: tutte riguardano in qualche modo la storia del Centro, ma riguardano anche una molteplicità di altri soggetti – detto altrimenti, di stakeholder. Questa potenzialità “generatrice” è ciò che rende particolarmente prezioso l’archivio di Tempo Reale. Un archivio non va visto, a mio giudizio, come una collezione di oggetti preziosi del passato da conservare intatti per il futuro. Quello che conta è ciò che di questo patrimonio fanno i suoi stakeholder, il significato che questi attribuiscono alla documentazione nel loro presente. Ciò che intendo per attivazione di un patrimonio archivistico è proprio il processo che lo rende significativo agli occhi di una molteplicità di soggetti.
ClockClacked è un primo passo verso questa attivazione. Un invito rivolto a tutti – artisti, compositori, musicisti, curatori, ricercatori, studenti, musicofili, audiofili, tecnofili – a farsi stakeholder di questo patrimonio, a esplorarlo, ascoltarlo, guardarlo, esaminarlo, usarlo: a dargli una nuova vita.
ClockClacked è un portale web – che sarà lanciato a gennaio 2021 – dove le opere prodotte da Tempo Reale nell’ambito della sound art troveranno una casa virtuale. Il suo nome vuole essere un omaggio a Luciano Berio, fondatore di Tempo Reale: è tratto infatti dal capitolo XI di Ulysses di James Joyce, il cui testo fu usato da Berio per la sua composizione Thema (Omaggio a Joyce) del 1958.
Insieme alla redazione di musicaelettronica.it, vi diremo di più nelle prossime puntate.
[1] Marco Scotini, Politiche dell’archivio. Pratiche e metodi nell’arte contemporanea, in Present Archives. Riflessioni a partire da un fondo di stampe, a cura di Beatrice Zanelli ed Ersilia Rossini, Arteco, Milano, 2019, pp. 70-77.
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Il portale ClockClacked, ideato da Giulia Sarno nell’ambito del Dottorato di ricerca in Storia delle arti e dello spettacolo del Dipartimento SAGAS dell’Università di Firenze, è realizzato da Tempo Reale con il contributo di:
Img © Claudia Cataldi: Tempo Reale, Giuseppe Chiari, La luce. Installazione audiovisiva da una partitura del 1966 (2018). Tempo Reale Festival / Maggio Musicale Fiorentino 2019.
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