CampComp. Lineamenti di musica audiopara / 1

di Andrea Valle*

[“In questi interventi che musicaelettronica.it gentilmente ospita, mi concentrerò su alcuni miei lavori. Non perché li ritenga esteticamente meritevoli di interesse. L’autopromozione è forse un male necessario, ma non si capirebbe perché la mia debba impestare le pagine di questo sito: c’è abbastanza internet per tutti. Ho pensato invece che discutere il bricolage complesso, molto macchinale e altrettanto macchinoso, che ne è all’origine possa avere qualche elemento di interesse per il lettore. Potrà quantomeno guadagnare nel sapere cosa non gli interessa”].

Gli approcci e le tecniche algoritmiche alla musica (indipendentemente dal medium finale, sia esso direttamente il segnale audio o la notazione musicale o messaggi per oggetti multimediali) si basano evidentemente su un assunto di partenza: quello della generatività. Il termine ha assunto da Chomsky in poi una accezione tecnica (il generativismo come teoria grammaticale formale), ma certo la sua etimologia è legata alla riproduzione. Come dice la Treccani:

generare v. tr. [dal lat. generare, der. di genus -nĕris «stirpe, nascita»] (io gènero, ecc.). – 1. Dare vita a un essere della stessa specie, detto di uomini, di animali, e per estens. anche di piante.

A tal proposito in zoologia si distingue classicamente tra viviparità (la prole è generata viva), oviparità (lo sviluppo embrionale avviene nell’uovo deposto), e ovoviviparità (ci sono le uova, ma si schiudono nel corpo materno, e la prole è partorita viva). La distinzione è interessante perché riguarda le modalità in cui il processo avviene, e non è vincolata alla classe (così, notoriamente i monotremi, ornitorinchi e echidne, sono mammiferi ma depongono le uova).

In relazione a questi aspetti, il modo di riproduzione e l’indipendenza dalla classe, si potrebbe pensare a una tassonomia delle modalità di produzione musicale, indipendentemente da stili, supporti, epoche. Senza pretesa alcuna di esaustività e, al contrario, a mo’ di Gendakenexperiment, chiamerò allora “audioparità” una modalità di composizione in cui il dato musicale origina dal suono. Una tecnica compositiva è audiopara se definisce una proiezione tra materiale sonoro in ingresso e un’organizzazione musicale in uscita. Si potrebbe riassumere dicendo che si ha audioparità quando una composizione (c) risulta dall’applicazione di una funzione audiopara (Fap) su un suono (s): c = Fap(s). Correlatamente, “audioparismo” descrive invece una modalità estetica e pratica incentrata sull’audioparità. Si potrebbero poi distinguere varie dimensioni di valutazione dell’audioparismo. Un asse potrebbe essere la pervasività. Ad esempio, Janequin ha fatto spesso dell’audioparismo una modalità pervasiva. Basti pensare a La chasse, La bataille, Les chants des oyseaulx. Analogamente, Messiaen ha integrato la trascrizione ornitologica in molti suoi brani, spesso però inserendola in un contesto composto in maniera differente. Nella Technique essa è descritta in relazione a un bagaglio di altre tecniche (i ritmi non retrogradabili, ad esempio). Anche se, a dire il vero, proprio il Catalogue des oiseaux è un pezzo radicalmente, pervasivamente audioparo.

Lo spettralismo è evidentemente un ambito d’elezione per un audioparismo pervasivo, basti pensare a Grisey nel classico ciclo Les espaces acoustiques. D’altronde Grisey ha sottolineato chiaramente questo suo audioparismo estetico:

Nous sommes des musiciens et notre modèle est le son, non la littérature, le son, non les mathématiques, le son, non le théâtre, les arts plastiques, la théorie des quanta, la géologie, l’astrologie ou l’acupuncture! [1]

Quello di Grisey è un audioparismo non solo spinto ma anche, e qui si può introdurre un secondo asse, formale. Ad esempio Partiels è in larga parte la trascrizione di un sonogramma, dunque molta della composizione è una proiezione (nel senso di cui sopra) del suono, e non solo di alcuni elementi: in più, il processo compositivo si appoggia strutturalmente a una strumentazione tecnologica che definisce formalmente (almeno in primo grado, poi, certo, in secondo grado c’è la trascrizione) gli elementi rilevanti del suono. Formalmente: perché c’è un dispositivo macchinale, con le sue specifiche tecniche, all’origine del sonogramma.

Ovviamente, esistono moltissimi stili non audiopari. Per dire, la dodecafonia evidentemente non è audiopara, ma in generale neppure la polifonia quattro/cinquecentesca. Il madrigale barocco però, all’interno di una poetica figurativa/mimetica, rivela invece spesso alcuni elementi generati in modalità audiopara (gli augelletti etc). Questo fa pensare però alla pertinenza di un terzo asse, diverso dalla pervasività e dalla formalizzazione, che in qualche modo fa riferimento al grado di mediazione, diciamo lungo l’asse astratto/concreto. Cosa rimane del suono originale nella composizione? A tal proposito, Simon Emmerson aveva proposto [2] una distinzione interessante in merito alla sintassi della musica elettroacustica: abstract/abstracted, che avevo tradotto nella mia tesi di dottorato con astratto/estratto, per mantenere la bella simmetria linguistica originale.

Nei termini qui discussi, la composizione audiopara estratta costruisce la forma avvicinandosi al suo estremo all’ideale mimetico del calco. Sempre per rimanere agli uccelli (sarebbe interessante scrivere una Storia ornitologica della musica), in Zugvögel Carola Bauckholt si pone come obiettivo una trascrizione delle emissioni talmente stretta da risultare in un’estetica iperrealista.

La composizione audiopara astratta parte dal suono ma ne ritiene solo certi elementi. Evidentemente, non è interessata particolarmente al problema mimetico, che è implicito in questa categoria. Non ho un buon esempio, e sono costretto a rimandare alla discussione successiva.

Le tre categorie, pervasività (poco/molto), formalità (indefinito/definito), mediazione (astratto/estratto) mi paiono abbastanza ortogonali.

Si può così partire dal suono per costruire formalmente e pervasivamente una composizione la cui sintassi è estratta. Ad esempio, le tecniche di ricostruzione via sintesi concatenativa proposte inizialmente da Diemo Schwarz [3] selezionano un suono bersaglio il cui spettro cercano di approssimare via ispezione e ricombinazione di una base di dati audio annotati. Formale, pervasivo, estratto. Viceversa, Sébastien Gaxie spesso compone in regime audioparo e in maniera estratta e pervasiva: molti suoi lavori includono una trascrizione precisa di materiale sonoro di partenza, ad esempio in Je suis un homme ridicule.[4] Ma è un audioparismo non formale, perché la selezione dei tratti pertinenti del materiale sonoro non è esplicita: Gaxie ascolta, ha un ottimo orecchio, e scrive. Il problema della trascrizione è risolto in quella black box che è la sua testa. Pervasivo, estratto ma non formale.

Ora, una ulteriore estensione di questa idea rischia un po’ di disperderne la carica semantica, ma non è forse del tutto peregrina. Perché in effetti anche una trascrizione (di un brano precedente, di una registrazione etnografica, ecc.), un’orchestrazione (Ravel da Mussorgskij nei Quadri di un’esposizione o Ravel dal piano all’orchestra per Alborada del gracioso), un arrangiamento (la pratica delle cover in ambito popular), è una forma di pratica compositiva audiopara (sebbene, almeno nei primi due casi, mediata dalla scrittura). Non mi addentro ulteriormente in considerazioni sull’utilità analitica (o meno) della nozione.

Un punto che però mi pare interessante in molte pratiche audiopare concerne un problema di scala temporale. È un problema già noto a Messiaen: facilmente il volatile canterino spara il suo richiamo alle stelle in termini di altezze e a velocità quasi letteralmente supersonica. Se l’obiettivo è convertirlo in indicazione strumentale per degli esecutori, si tratta allora di trasporre e rallentare.

Concentrandosi su quest’ultimo aspetto (il tempo), si apre però la questione di verificare quale sia il grado di mediazione, ovvero, rispetto a quando detto prima, quale sia il posizionamento sull’asse astratto/concreto. Quanto rimane di quell’organizzazione temporale originaria dilatando i tempi? A tal proposito, proprio la dilatazione temporale è una cifra dell’opera di Grisey, un aspetto che probabilmente rende l’audioparismo meno estremo rispetto a quanto osservato sopra. D’altronde, Stockhausen ci aveva ragionato molto, ad esempio nel seminale Wie die Zeit Vergeht… del 1957.[5]

In apertura del suo Microsound, Curtis Roads [6] ha proposto – a partire da Xenakis – uno schema affascinante che pone lungo un unico asse temporale il passato e il futuro, l’infinito e l’infinitesimale suddiviso in “time scales”.

L’ambito tipico del musicale include così macro, meso, sound object (Xenakis direbbe “mini” [7]), micro. Detta rapidamente: l’organizzazione complessiva, la sintassi ritmica, l’evento, la grana. Dice Roads:

As sound passes from one time scale to another it crosses perceptual boundaries. It seems to change quality. This is because human perception processes each time scale differently. (4)

Non c’è dunque isomorfismo tra macro/meso/mini/micro. In termini di generazione audiopara, la dilatazione temporale, nel momento in cui passa di scala, implica allora un forte incremento dell’astrazione rispetto all’estrazione. In termini compositivi, questo isomorfismo (costruttivo) è stato al centro delle riflessioni del primo John Cage: come osserva Pritchett [8], il compositore americano ha largamente impiegato le stesse proporzioni delle durate (frattalmente, si potrebbe dire) per organizzare multilivellarmente la composizione in una relazione “micro-macrosmica”.

D’altra parte, uno degli assunti dell’approccio sistemico di Agostino Di Scipio è proprio quello del passaggio continuo dal micro al macro, ovvero dell’emergenza della forma complessiva dal suono, “blurring the clear-cut distinction between the macro-level articulation of musical structure and the micro-level timbral properties of sound”. [9]

Una differenza cruciale con Cage è che Di Scipio opera esplicitamente al livello subsimbolico. Consapevole dell’anisomorfismo temporale di cui discute Roads, Di Scipio allestisce sistemi in cui la forma complessiva non è il risultato architettonico di una strutturazione da fuori, quanto piuttosto un dato emergente (nel senso tecnico della discipline della complessità) dall’interazione sonica. Va dunque preso alla lettera quanto dice il compositore: “non mi occupo della forma, piuttosto me ne pre-occupo”[10]

Tuttavia quando uno ha la sfortuna come me di essere afflitto da una sindrome semiologica, non può esimersi dal considerare la dimensione simbolica delle forme, cioè il semplice fatto che una forma è un oggetto cognitivo, una sorta di invariante che può essere soggetta a processi di trasduzione, di conversione, variamente non lineare, come in una distorsione, eppure mantenere una sorta di salienza strutturale. O, alla peggio, il processo di trasduzione, in tutte le sue eventuali nonlinearità, determina una sorta di deriva genetica, che produce nuove forme. In relazione a questo problema di trasduzione, la codifica digitale dell’informazione è evidentemente un potente demiurgo, diciamolo in maniera chic, semiomorfogenetico, poiché ogni forma semiotica possibile (il calcolatore è una macchina simbolica per costruzione) vi è rappresentata in un formato unico, cioè quello numerico. In fondo, questo vuol dire duplicare il problema per risolverlo. C’è un’unica rappresentazione, una flatlandia numerica, ma su questa si ricostruisce in verticale un paesaggio di forme diverse (che siano Guerra e pace, l’Allegoria ed Effetti del Buono e del Cattivo Governo, il Lied von der Erde, letti e ascoltati in formato digitale secondo la nostra esperienza quotidiana): come in un Pin Screen, un quadro di spilli tutti uguali ma di altezze diverse. E come in un Pin Screen, con una visione e un’illuminazione perfettamente frontale, la forma sparisce in favore della punzonatura uniforme degli spilli numerici.

A tal proposito, e tornando al dominio udibile, il numerico permette di passare agevolmente tra scale temporali, e di pensare altrettanto agevolmente questo passaggio.

[fine prima parte]

[1] Cit. in F. Paris, L’empreinte du cygne, in D. Cohen-Levinas (ed.), Le temps de l’écoute, L’Harmattan, 2004, p. 53.
[2] S. Emmerson, The Relation of Language to Materials, in S. Emmerson (ed.) The Language of Electroacoustic Music, MacMillan 1986.
[3] Nella sua tesi di dottorato, Data-driven Concatenative Synthesis, Univ. Paris 6, 2004 (http://articles.ircam.fr/textes/Schwarz04a/index.pdf)
[4] Come discusso qui: http://blog.athenee-theatre.com/categorie/je_suis_un_homme_ridicule.htm; e documentato in video qui: https://www.youtube.com/watch?v=lHBevBv3Feg
[5] Si può leggere qui in inglese: http://www.artesonoro.net/artesonoroglobal/HOW%20TIME%20PASSES%20BY.PDF
[6] C. Roads, Microsound, MIT Press, 2001.
[7] I. Xenakis, Concerning time, «Perspective of New Music», 27:1, 1989.
[8] J. Pritchett, The Music of John Cage, Cambridge University Press, 1993.
[9] A. Di Scipio, Iterated Nonlinear Functions as a Sound-Generating Engine, Leonardo, 34:3, 2001, 249.
[10] A. Di Scipio, Emergenza di Suono, Suono di Emergenza.

*Andrea Valle è ricercatore e professore aggregato presso il DAMS di Torino dove e insegna programmazione audio e semiotica dei media. Laureato in Scienze della comunicazione presso l’Università di Torino, ha conseguito il Dottorato di ricerca in Semiotica presso la scuola superiore di studi umanistici di Bologna. È membro fondatore del CIRMA, Centro Interdipartimentale di Ricerca sulla Multimedialità e l’Audiovisivo, dell’Università di Torino. Ha partecipato al progetto europeo VEP (Virtual Electronic Poem), che ha ricostruito in realtà virtuale il Padiglione Philips. È membro del Consiglio direttivo dell’AIMI (Associazione di Informatica Musicale Italiana). Oltre pubblicazioni scientifiche internazionali, è autore di Audio e multimedia (con V. Lombardo, 4° ed. 2014) e Introduzione a SuperCollider (2015, ed. inglese 2017). Ha studiato composizione musicale con Alessandro Ruo Rui, Azio Corghi, Marco Stroppa, Trevor Wishart. Bassista elettrico, il suo lavoro come compositore è principalmente centrato su metodologie algoritmiche, indifferentemente in ambito elettro-acustico e strumentale. Dal 2008 lavora estensivamente nell’ambito del physical computing, sviluppando ensemble controllati dal calcolatore che includono tipicamente oggetti di uso comune e di recupero. Tra i suoi lavori, installazioni multimediali, musica da film, e teatro. Collabora regolarmente con Marcel·lí Antunez Roca (Cotrone, 2010; Pseudo, 2012; Ultraorbism, 2015; Alsaxy, 2015). Dal 2013 in associazione con Mauro Lanza ha composto il ciclo Systema Naturae, per strumenti acustici e dispositivi elettromeccanici.

CampComp. Lineamenti di musica audiopara / 1 ultima modifica: 2018-07-13T09:30:24+02:00 da Luisa Santacesaria

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