Brevi storie di musica elettronica #6 | All’ombra del monte Fuji #1: musica elettroacustica

di Johann Merrich*

Questo mese il nostro viaggio dedicato alla (ri)scoperta delle protagoniste della storia della musica elettronica volge il suo sguardo a Oriente, soffermandosi ad accarezzare le creste curvilinee del monte Fuji. Il Giappone accolse la sua prima stazione radiofonica nel 1925: da qui, vent’anni dopo, la voce dell’Imperatore aveva annunciato la resa del Paese e da qui gli alleati colonialisti presero a “insegnare la democrazia”.

Il percolare della cultura occidentale incoraggiò lo sviluppo dell’arte radiofonica e il conseguente avvio della produzione nazionale di registratori a nastro magnetico, immessi nel mercato da Tokyo Telecommunications Engineering Corporation – poi nota come Sony – tra 1950 e 1951. Grazie al proliferare di queste innovazioni tecnologiche nacquero i primi brani ispirati alla musica concreta, come Toraware no Onna e Piece B (1951) di Kuniharu Akiyamae Music for Microphones (1952) di Yasushi Akutagawa; nel frattempo, l’uso di strumenti elettronici come theremin e onde Martenot si affacciava, più o meno timidamente, nel mondo del cinema nipponico.

In Giappone lo sviluppo della musica di sperimentazione elettroacustica ed elettronica seguì due cammini paralleli che non mancarono di mostrare alcune parentesi di intersezione: da una parte si dipanava l’attività dello studio di musica elettronica della radio Nhk (1955), modellato sull’esempio della fucina della Nordwestdeutscher Rundfunk di Colonia, dall’altra si ergevano i gruppi delle avanguardie artistiche, le cui espressioni musicali furono guidate dalle esperienze francesi, dal fenomeno dell’Intermedia Art americana e dal movimento Fluxus. Una strada ulteriore era poi riservata a quella piccola nicchia di musicisti nipponici che, per privilegio economico, poterono beneficiare di soggiorni-studio all’estero, acquisendo così in via diretta le esperienze che stavano vivendo paesi come Francia, Germania e Stati Uniti.

Ma facciamo un balzo indietro: a dispetto di quanto potremmo pensare suggestionati da immaginari esotici, sul finire dell’Ottocento il Giappone considerava il ruolo delle donne nella pratica musicale allo stesso modo di un qualsiasi altro paese occidentale; come accadeva nell’Inghilterra vittoriana, anche nel Sol levante la conoscenza della musica – europea – era ritenuta un importante indicatore dello stato sociale delle famiglie benestanti e la dimostrazione di abilità al pianoforte era uno dei fattori irrinunciabili previsti dall’educazione di ogni donna acculturata. Fondata nel 1887, la Tokyo Music School era un’istituzione dedicata allo studio della musica europea e vide coinvolte tra il corpo insegnanti la pianista Koda Nobu, docente composizione a partire dal 1895, e le sue sorelle Ando Ko e Tamaki Miura, rispettivamente impegnate nella diffusione delle pratiche necessarie all’esercizio creativo di violino e voce. Come affermava il direttore della scuola in un discorso del 1902: “La musica può essere un ammirevole intrattenimento nelle occasioni sociali. La musica può rendere le donne più sociali, poiché la loro tendenza è quella di stare in casa e di parlare con poche persone. Fare musica come hobby va bene per la salute mentale della donna. Suonare darà loro un’opportunità di espressione”.

Al pari di altri paesi occidentali, il codice civile Meiji (1898) impediva alle donne i diritti fondamentali nel matrimonio, il diritto al voto e di proprietà. Al pari di altri paesi occidentali, la carriera professionale delle donne nella musica non era incoraggiata ed era preferito per tutte il ruolo di ryosai kenbo: “buona moglie e madre saggia”. Non sorprenderà quindi apprendere che tra le prime donne che poterono avvicinarsi alle espressioni della musica elettronica si annoverino compositrici di alta estrazione sociale che poterono intraprendere gli studi all’estero dopo un periodo di formazione alla Tokyo Music School, come accadde a Michiko Toyama (1913), compositrice nata in una famiglia agiata di Osaka. Dopo aver concluso gli studi a Tokyo, nel 1936 Toyama si sposta in Francia per seguire le lezioni di Nadia Boulanger. L’anno successivo è insignita del primo premio all’International Modern Music Festival di Parigi grazie a una composizione per soprano, flauto, clarinetto e violoncello: Yamato No Koe (Voice of Yamato). Con questo brano, Toyama passa alla storia divenendo la prima compositrice giapponese ad aver ricevuto un premio internazionale all’estero. La formazione della musicista prosegue sotto la guida di Olivier Messiaen e Darius Milhaud per poi sondare gli esperimenti americani con un lungo soggiorno a New York avvenuto tra 1955 e 1959. L’incontro con il mondo di Pierre Schaeffer l’aveva portata a iscriversi alla Columbia University, al tempo culla del futuro Electronic Music Center, dove poté iniziare il suo percorso nella sperimentazione elettroacustica con un mentore d’eccezione: il compositore Edgard Varèse. Nel 1956 cominciarono a prendere vita i lavori per nastro magnetico ottenuti combinando musica tradizionale giapponese, poesia e tecniche di manipolazione del nastro magnetico: WakaSuite on Japanese folk songs (1958) eYamato no koe (1960), poi raccolti nell’album Waka and other compositions sound recording: contemporary music of japan based on traditional themes and poetry (1960). Stimata dai patroni della cultura americana, nel 1961 Toyama riceve un finanziamento dalla Fondazione Rockefeller per aprire un centro dedicato alla produzione di musica elettronica ed elettroacustica nel suo paese natale, laboratorio che non fu mai realizzato a causa di contrasti con i suoi collaboratori. In patria Toyama non riceverà nessun incoraggiamento o riconoscimento dalla scena ufficiale della musica contemporanea giapponese e l’allontanamento dalla società musicale portò inesorabilmente all’emarginazione della compositrice. Scriveva Toyama: “comporre musica è la mia gioia e lo faccio per me stessa. Spero che le mie composizioni saranno un giorno rappresentate, ma non oso organizzare qui nessuna delle mie performance“. Il suo brano Yamato No Koe sarà eseguito per la prima volta in Giappone solo nel 1993, quasi un secolo dopo essere stato concepito.

img © Eeviac

Organizzatrice di suoni, Johann Merrich si occupa di ricerca e sperimentazione elettronica. I suoi progetti in solo ed ensemble – presentati a Santarcangelo Festival (2018) e alla Biennale D’Arte di Venezia (Padiglione Francia, 2017) – sono stati accolti come opening da artisti quali Zu, Teho Teardo, Mouse on Mars, Roedelius ed Evan Parker. Direttore artistico della netlabel electronicgirls, dal 2018  fa parte assieme a eeviac de L’Impero della Luce, duo dedicato alle sonorità dei campi elettromagnetici. Nel 2019 ha pubblicato per Arcana Edizioni il libro “Breve storia della musica elettronica e delle sue protagoniste”. A partire dal mese di maggio 2019, propone per musicaelettronica.it una nuova visione della storia della musica elettronica.

https://soundcloud.com/johann-merrich
http://johannmerrichmusic.wordpress.com/

Brevi storie di musica elettronica #6 | All’ombra del monte Fuji #1: musica elettroacustica ultima modifica: 2019-12-17T09:31:59+01:00 da Luisa Santacesaria

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